In questi giorni si legge su parte della stampa quotidiana la notizia che anche l’Italia, dopo la Grecia, la Spagna e in parte la Tunisia, sta incrementando gli allevamenti ittici, per far fronte alla richiesta in crescita, sia per le campagne ambientaliste che limitano sempre più la pesca “libera”. C’è però chi, come il lettore Roberto Clerici, che ci scrive, diffida.
Sempre più spesso leggo di nuovi allevamenti ittici anche in mare, e le grandi catene della distribuzione “food” presentano il prodotto sia in nome dell’ambiente, sia come qualitativamente pari al pesce dei pescherecci. Francamente, diffido. Ho visto allevamenti in vasche di cemento, con continente somministrazioni di antibiotici…
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Non siamo esperti del settore, ma gli ambienti ufficiali di controllo alla salubrità del pesce destinato all’alimentazione umana distinguono tra il prodotto alleato in vasche in terraferma e quello che viene delle gabbie di rete in mare aperto, dove la corrente e il vento costringono il pesce a nuotare sempre; e dove le loro deiezioni vengono disperse fuori dal gabbie. Alcuni allevamenti forniscono anche una documentazione ufficiale che garantisce l’uso di soli mangimi certificati e del non intervento di medicine o elementi artificiali curativi, che ne alterano anche il sapore. Fondamentale – ripetiamo – è che le gabbie siano in mare aperto o comunque in costa dove sia il fondale sia la corrente le tengo pulite: e che il pesce raccolto sia immediatamente surgelato prima della spedizione ai mercati.