ROMA – Come noto, l’ultimo anno ha prodotto un copioso corpus normativo a livello europeo che – tra direttive e regolamenti – ha determinato (con particolare riferimento all’ineluttabile tema della transizione energetica del settore marittimo-portuale) un effetto di vero e proprio “game-changer” per lo shipping intero, nessuno escluso.
In questo scenario legislativo (quasi) “bulimico” si colloca una recente proposta della Commissione europea relativa alla riforma del Codice Doganale dell’Unione – inizialmente istituito nel 2013 ed emendato nel corso degli anni da alcuni regolamenti – che se, da un lato prende maggiormente in considerazione le istanze del trasporto aereo e stradale, dall’altro porta con sé diversi aspetti potenzialmente problematici per il nostro cluster.
Iniziamo, però, da alcune lievi note positive di carattere generale. In linea di principio, la proposta di riforma si pone come finalità quella di rafforzare il mercato unico e la previsione di un sistema, appunto, “unico” a livello europeo può favorire l’implementazione di procedure doganali più snelle e uniformi a livello continentale, in un’ottica di semplificazione degli iter burocratici ed amministrativi e di riduzione dei costi. Il tutto, però, purché vi sia un processo di raccordo ed implementazione graduale delle procedure; circostanza questa che, da un primo esame della proposta, non parrebbe essere stata adeguatamente presa in considerazione.
Veniamo dunque alle “note dolenti” e cioè alle questioni che, se non adeguatamente trattate a Bruxelles, rischiano di incidere in negativo sulla competitività del trasporto marittimo e, soprattutto, dei nostri scali.
Tra tutte, la proposta che – senz’altro – solleva maggiori preoccupazioni è quella relativa alla possibile riduzione del periodo massimo di deposito temporaneo della merce, noto anche come “temporary storage”, a tre giorni rispetto ai novanta attualmente previsti. Trattasi di una proposta potenzialmente molto incisiva ed estremamente dannosa per il nostro settore con evidenti ripercussioni su tutte le attività portuali oltreché sui traffici e sulle operazioni in import della merce.
Certo è che, in questa malaugurata ipotesi, il meccanismo operativo tipico dei traffici di transhipment – vale a dire l’impiego (a raggiera) di navi con notevole capacità su rotte transoceaniche, il successivo deposito della merce in banchina e, da ultimo, l’impiego di unità “feeder” per raggiungere la destinazione finale – sarebbe messo in seria difficoltà.
Nella sostanza, così come formulata, l’eventuale riduzione a tre giorni del “temporary storage” non è una tempistica congrua per permettere a questo modello, c.d. di “hub & spoke”, di continuare ad operare efficientemente. Va da sé quindi che un approccio in questi termini rischi, ancora una volta, di minare la competitività dei nostri porti a vantaggio degli scali viciniori che si affacciano sul Mediterraneo e che, per contro, non sono soggetti alle regole unionali.
Sotto altro profilo, poi, la proposta di modifica del Codice non manterrebbe l’attuale distinzione secondo cui, quando è ancora a bordo, la merce viene notificata come “arrived” e solo allo scarico diventa “presented” alla dogana; per contro, a far data dal primo arrivo della nave in un porto dell’Unione, la proposta considererebbe fin da subito la merce come in regime di “temporary storage”.
Fermo tutto quanto sopra, posto che l’iter legislativo sta entrando nel vivo presso le Istituzioni europee, sia il Parlamento sia il Consiglio stanno lavorando per definire le rispettive posizioni in vista delle prossime negoziazioni inter-istituzionali. Sembra tuttavia verosimile che l’iter possa subire una fase di stallo e che possa riprendere all’esito delle prossime elezioni europee. In ogni caso, il lavoro del Parlamento parrebbe iniziare a dimostrarsi sensibile alle istanze provenienti dal mondo dello shipping e della portualità e, in questo senso, il testo attualmente in discussione in Parlamento parrebbe prevedere che il carico trasportato non sia posto sotto custodia temporanea o vincolato ad un regime doganale nel primo porto d’ingresso, ma soltanto nel porto in cui effettivamente è scaricato o trasbordato.
In ogni caso, posto che l’iter legislativo di riforma del Codice si annuncia lungo e che un eventuale accordo tra le varie posizioni dei co-legislatori sembra ancora distante, siamo senz’altro in presenza di una proposta di modifica da tenere in debita considerazione al fine di rimarcare all’Europa la specificità del nostro settore e le conseguenze dannose di eventuali norme che non tengano adeguatamente conto delle caratteristiche e delle effettive esigenze, talvolta più che uniche, dello shipping.
Luca Brandimarte