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Un bacino e un business

LIVORNO – Ovviamente i livornesi ci sono rimasti male. E non solo l’impresa Neri, che per blasone, esperienza e capacità dimostrate sul campo, era quasi sicura di avere il contratto con Smit (qualcuno dice che era stato tentato di imbarcare nella cordata anche l’altra olandese di primissimo piano, la Mamoet, ma è stato impossibile proprio perché tra Smit e Mamoet non si parlano malgrado siano entrambe olandesi): ma anche e specialmente tutta la pletora di aziende che operano nel porto, sulle quali la ricaduta di una pioggia di lavori da almeno 200/250 milioni di euro sarebbe stata, di questi tempi, una manna.


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Gli ottimisti, si sa, non demordono mai: e spesso hanno anche ragione. Adesso tutti stanno remando perché, perso il contratto del recupero a vantaggio di Titan e Micoperi, Livorno abbia almeno il contratto del “dopo”: cioè possa avere il relitto rimorchiato nel grande bacino di carenaggio, che è uno dei tre nel Tirreno in grado di accogliere l’immensa carcassa.

Formalmente parlando, questa seconda fase non è ancora stata decisa. E sia il ministero dell’Ambiente, sia la Regione Toscana, sia le varie istituzioni che devono ancora dare una valutazione di impatto ambientale (VIA) sul progetto Titan, spingono per Livorno. A favore di questa soluzione c’è la distanza nettamente ridotta rispetto ad altri bacini, che il relitto dovrà percorrere. E c’è anche il fatto che il bacino di Livorno non ha “impegni”, nel senso che è inutilizzato da anni. A sfavore c’è che formalmente è inutilizzabile, e richiederebbe investimenti intorno ai 20’ milioni di euro per poter tornare efficiente, anche se si dice che solo per ospitare il grande relitto e smantellarlo poco a poco basterebbero alcuni interventi alle pompe e alla porta, spendendo poco meno di 5 milioni (che nel mega appalto si recupererebbero facilmente).

Il vero problema di Livorno sembra un altro e abbastanza comprensibile: cioè che Titan e Micoperi non vogliano far base nel porto del loro più accanito e “gettonato” avversario, dove ovviamente dovrebbero pagare abbondantemente pegno in servizi e subappalti.

A meno che, è più che frequente in questi casi di grandi appalti, alla fine gli avversari si mettano d’accordo con reciproco vantaggio. Business are business, si dice in quel mondo. E perché no, visto che sulle spoglie della “Concordia” c’è pane e companatico per molti?

A.F.

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Pubblicato il
25 Aprile 2012

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