Per il relitto della Concordia discordia sul bacino livornese
Sempre più vaghe le possibilità di avere il lavoro per i problemi della grande vasca contesa
LIVORNO – Il recupero del relitto della “Costa Concordia” è cominciato, sia pure con le ricorrenti preoccupazioni su tempi e modi del sindaco dell’isola del Giglio: ma sulla destinazione finale delle 55 mila tonnellate da smantellare il mistero rimane totale. E alle nuove richieste della Regione Toscana perché venga avviato al bacino di carenaggio di Livorno, l’unica risposta ufficiale è che la decisione spetta alla compagnia armatrice, che la renderà nota solo quando il relitto sarà a galla: decidendo – il che ha anche la sua logica – in base alle condizioni del relitto stesso, ai rischi connessi al rimorchio, e alla disponibilità dei siti per smantellarlo.
A sua volta il consorzio Micoperi-Titan, che ha vinto la gara, non fa mistero di puntare su Palermo, dove la Fincantieri (che ha costruito la “Costa Concordia”) ha un bacino adatto allo scopo.
[hidepost]Significativo sull’argomento il silenzio sempre più imbarazzato delle istituzioni livornesi, che dopo l’iniziale coro di richieste per il bacino di carenaggio sembrano aver capito che l’operazione sarebbe tutt’altro che semplice, ammesso che fosse possibile viste le condizioni del suddetto bacino e dei relativi fondali.
E’ stata anche messa la sordina – complice le distrazioni dell’estate – sulle preoccupate dichiarazioni del management del cantiere Benetti, che ovviamente considererebbe una jattura avere in casa l’immenso relitto e le relative operazioni di smantellamento. E’ noto che Benetti considera da anni il superbacino come una realtà conclusa, adatta al massimo come darsena per la manutenzione dei suoi maxi-yacht; ed è noto che da anni si batte perché le istituzioni riconoscano l’incompatibilità del complesso con la costruzione e il refitting degli yachts, così come anche lo studio redatto da RINa ha certificato. Appare significativo anche il plastico (nella foto in prima pagina) che la stessa Benetti ha esposto a più riprese, nel quale il superbacino non esiste più ed è diventato una darsena. E ci si chiede se è stato solo l’espressione di una speranza aziendale o la trasposizione grafica di uno dei tanti dettagli poco noti degli accordi di Roma: quelli che, sia pure con le fantasiose “tre gambe” da salvaguardare, hanno di fatto sancito il passaggio di tutta l’area dell’ex Orlando – bacino compreso – a Benetti e al suo business dei maxi-yachts. Unica realtà locale peraltro – va ricordato – che continua a macinare ordini e a salvaguardare centinaia di posti di lavoro, diretti e indotti.
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