Raddrizzata felicemente la Concordia è piena discordia sulla destinazione
Rossi accusa Fincantieri di “pressioni fuori misura” per Palermo – Micoperi “regala” all’isola – I probabili costi del rimorchio in base alle distanze e al numero dei rimorchiatori e i calcoli delle assicurazioni
LIVORNO – Gli applausi liberatori, l’orgoglio di un’operazione tutta italiana o quasi. Adesso che il relitto della Costa Concordia è in assetto, sia pure semiaffondato e tenuto dalle catene sul fondale artificiale, si è aperta non senza tensioni già la fase due: quella delle operazioni per arrivare al rigalleggiamento e al trasferimento dell’immenso “rifiuto” via dal Giglio.
[hidepost]E c’è la sensazione che se per raddrizzare lo scafo si è avuto un positivo concorso di tutte le componenti interessate, da quelle tecniche a quelle politiche, sul resto le cose non correranno così lisce.
In questo quadro d’incertezze si inserisce la inattesa e generosa dichiarazione, rilasciata a “Milano Finanza” del general manager della Micoperi Silvio Bartolotti, secondo il quale dall’operazione della Concordia la sua società “non avrà nemmeno un euro di utile”.
“Terremo solo il necessario per coprire le spese – ha detto Bartolotti – tutto il resto sarà donato all’isola del Giglio: porterò la corrente elettrica oppure il gas, o sto pensando con gli amministratori del Comune anche a una funicolare che colleghi Giglio porto a Giglio Castello. L’ho già scritto all’inizio dell’operazione, in una pagina allegata alla nostra offerta, senza nemmeno parlarne con il socio Usa”. Un bel gesto, che torna ulteriormente a onore della compagnia italiana.
Tornando al “dopo” se e quando la Concordia tornerà a galleggiare e potrà essere tolta dal Giglio – nella prossima primavera, secondo le stime oggi più attendibili – dovrà andare nel porto più vicino, Piombino, che sta marciando a tappe forzate per attrezzarsi a riceverla. Ma non è affatto scontato, malgrado le sicurezze del governatore della Toscana Enrico Rossi e la rincorsa di Piombino ad attrezzarsi in tempo.
Piombino è il porto più vicino: quindi sembrerebbe ovvio a Piombino per rimorchiare un gigante ferito a morte di 290 metri di lunghezza e oltre 60 mila tonnellate di peso (molti giornali hanno equivocato confondendo il peso con la stazza che è di 114 mila tonnellate, ma si sa che la stazza è una misura di volume, non di peso). Eppure Costa Crociere e Fincantieri continuano a battersi per trasferire il relitto a Palermo, nel bacino di carenaggio della stessa Fincantieri. Con tale impegno che il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha definito, qualche giorno fa, “pressioni fuori misura quelle di Fincantieri per Palermo”. Poi si sono fatti avanti Civitavecchia, Genova, Porto Torres: e l’elenco rischia di allungarsi se si vorrà mettere nel conto anche la possibilità dell’utilizzo della nave semisommergibile “Vanguard” che dovrebbe caricarsi sul groppone il relitto e portarlo dove la demolizione costa pressoché un centesimo piuttosto che nel Mediterraneo.
Fincantieri ha i suoi motivi per insistere a volere il relitto a Palermo. Prima cosa perchè la demolizione sarà un business. E’ stato scritto (Reuter) che secondo la compagnia di riassicurazioni Munich Re. la perdita complessiva delle assicurazioni (i gruppi P&O che si riassicurano tra loro in campo navale) supererà probabilmente un miliardo e cento milioni di dollari, di cui la metà per il recupero, il resto per il trasferimento e la demolizione. Secondo Rahul Khanna, ex capitano di petroliere e consulente del ramo marittimo di Allianz “questa è diventata la più costosa operazione di rimozione di un relitto della storia”. Altri interventi del genere, celebri come il recupero della maxi-portacontainer “Rena” affondata in Nuova Zelanda nel 2011, si sono fermati a costi non superiori a 240 milioni di dollari. C’è dunque molto da guadagnare nella demolizione della Concordia: e Fincantieri sa che lo stabilimento di Palermo ne ha estremo bisogno, ha le competenze e anche gli appoggi politici. In più Costa Crociere è un affezionato cliente di Fincantieri, che le ha costruito parecchie grandi navi da crociera (come la stessa Concordia): ovvio che business are business, e in partnership si lavora meglio che non in un quasi sconosciuto (alle crociere) piccolo porto toscano in corsa per attrezzarsi.
Contro Palermo gioca, ad oggi, un principale fattore: la distanza da percorrere a rimorchio. L’Istituto Idrografico della Marina certifica che dal Giglio a Palermo c’è una distanza in miglia otto volte superiore a quella dal Giglio a Piombino, che è di circa 35 miglia. E a rimorchio in mare aperto, per più di 250 miglia dove anche nella bella stagione le burianate da libeccio non sono infrequenti, è davvero un bel rischio per un relitto con la spina dorsale rotta, “appeso” a una serie di cassoni (sponsons) come a un immenso salvagente. I costi? Si ipotizza che a spanne un rimorchiatore costi circa 15 mila euro al giorno e per l’enorme relitto ne occorreranno almeno 4: fanno 60 mila euro al giorno ed è ovvio che se per Piombino basterà la loro disponibilità per un paio di giorni (tra arrivare, agganciare, rimorchiare e mollare forse anche tre giorni) per Palermo ce ne vorranno una dozzina, se non addirittura due settimane tra approntamenti, trasferimenti, incerti. Ma il costo dei rimorchiatori diventa quasi ininfluente sui vantaggi di chi andrà a demolire il relitto: s’ipotizza che ci potranno lavorare un paio di centinaia di persone di ditte specializzate almeno per un paio d’anni. A Piombino tra l’altro guardano anche le decine di ditte di riparatori navali che, tramontata la speranza di riattivare il grande bacino di carenaggio, considerano il relitto della Concordia “pane per i propri denti”. Un business che rientra peraltro nel miliardo e cento milioni di dollari calcolato da Munich Re. Con alcune inquietanti postille: un affare come questo sarà del tutto immune da certi “mali” tutti italiani?
A.F.
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