E a Livorno? Per favore darsi una mossa!
LIVORNO – Qualcuno mi dirà quasi certamente che, non essendo un esperto, dovrei star zitto. Sutor, ne supra crepidam, (Calzolaio, non oltre la scarpa) avrebbe smoccolato Apelle nel famoso racconto di Plinio. E posso anche esser d’accordo.
Ma non c’è bisogno d’essere esperti per capire che nella vicenda dei bacini di carenaggio livornesi qualcosa non deve aver funzionato. Non mi schiero, con questo, a favore di chi sta riempiendo i giornali di manifestazioni, picchetti, proclami: quando si muovono con targhe partitiche, queste manifestazioni sono certo legittime, ma possono far nascere qualche dubbio, visto che c’è quasi sempre sottopelle la battaglia politica. Che esula da queste righe.
Ciò premesso, nel presentare la “fame” di bacini di carenaggio che esiste in Mediterraneo – vedi articolo qui a fianco – viene spontaneo chiedersi se nel disastro del bacino in muratura, che dura da oltre dieci anni, e nel “blocco” da quasi due anni del bacino galleggiante imposto dalla magistratura per la tragedia dell’“Urania”, sia tutto da considerare normale.
Per l’uno e per l’altro caso sono volate e continuano a volare parole grosse. Si sente dire che il bacinone (non ha mai avuto un nome) non è riparabile senza spenderci sopra almeno 70/80 milioni, cifra che sembra difficile da trovare nel pubblico e anche nel privato. Si sente dire che non hanno impedito lo scatafascio l’Autorità portuale, il gruppo Azimut/Benetti, la magistratura che era stata chiamata in causa, la prefettura come istituzione che rappresenta lo Stato e dovrebbe dunque tutelarne anche i beni.
Poi c’è l’altrettanto sciagurata vicenda del bacino galleggiante “Mediterraneo”. Che fu costruito in emergenza del cantiere Orlando, non è mai stato collaudato per la sua portata di progetto, è affondato nell’agosto del 2015 per il cedimento delle taccate dell’“Urania” e da allora, pur essendo stato rimesso a galla dalla Benetti, è sotto sequestro della magistratura per l’inchiesta.
Ci si chiede: possibile che un’inchiesta del genere debba durare quasi due anni, bloccando un bene indispensabile, mandando all’aria centinaia di impegni di lavoro, creando danni enormi per mancato utilizzo? Ci rispondono che ci sono state – e ci sono – difficoltà per i periti del tribunale ad entrare nel relitto della “Urania” per l’inchiesta. Mi domando (e qui confermo di non essere un esperto) come mai per entrare nell’albergo travolto dalla slavina in Abruzzo ci sono volute 48 ore, malgrado l’albergo fosse sotto migliaia di tonnellate di ghiaccio e le strade fossero bloccate, mentre stiamo aspettando un anno per entrare in un relitto di nave che tanto più pericoloso del tragico albergo non sembra. Della serie: per favore, possiamo darci una mossa, a chiunque spetti?
Antonio Fulvi