“Milleproroghe” preannunciate mille vertenze
ROMA – Come a dire: piove sul bagnato. Oppure alla livornese: per gli zoppi, calci negli stinchi. Così i commenti più immediati all’emendamento presentato da Tremonti nel “Milleproroghe”, secondo il quale i soldi stanziati per i porti ma non spesi negli ultimi 5 anni vengono automaticamente cancellati e tornano nel calderone del Tesoro.
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Ne abbiamo parlato nel numero scorso, ma adesso l’allarme cresce in progressione geometrica con ogni giorno che passa. Perché al momento in cui scriviamo Tremonti sembra deciso, e a niente sono valse le proteste dello stesso suo collega alle Infrastrutture Matteoli, che si vede tra l’altro scippato della disponibilità dei fondi stessi (c’era già una norma che prevedeva che, in caso di negligenza manifesta, i fondi sarebbero stati ritirati e passati al ministero di Matteoli). Invece, ancora peggio: se li riprende Tremonti, per cercare disperatamente di riempire il buco senza fondo del deficit nazionale.
Povero Tremonti, verrebbe da dire: è come quel bambino della parabola che con il secchiello cerca di vuotare il mare. Ma anche e specialmente poveri porti. Proprio nel momento in cui si annusa un inizio di ripresa, ma con gigantesche nuvole nere che si affacciano ancora all’orizzonte (la concorrenza in tempi duri si fa più accanita e se anche le attuali rivolte del Nord Africa rischiano di fermare molti progetti portuali locali non è certo così che si risolleveranno gli scali italiani) il governo toglie anche quei pochi soldi che costituiscono la speranza di poter fare qualche nuova struttura.
Che poi la politica portuale sia schizofrenica, lo dimostra il fatto che da una parte si portano avanti i grandi progetti dei “sistemi” portuali, con la dichiarata intenzione di ridurre la proliferazione delle Autorità, e dall’altra si annuncia che ne nascerà un’altra a Trapani, come se per la Sicilia non bastassero quelle già esistenti (e tribolate).
Contro l’emendamento Tremonti si è levata – ma debole e pressoché inascoltata – anche la voce di Assoporti. Il presidente Nerli ha ricordato che nella maggior parte dei casi i finanziamenti ancora fermi lo sono per carenza di autorizzazioni, per i ritardi della burocrazia locale e centrale, per l’incredibilmente lenta catena delle normative, per i temporeggiamenti ogni volta che c’è da dragare anche solo qualche metro cubo di sabbia.
Nerli sa che se non interverrà il parlamento in forze, con decisione bipartisan, ancora una volta l’avrà vinta Tremonti. Unica minaccia realistica ed applicabile, quella di sommergere il governo con una valanga di ricorsi: ad ogni finanziamento sottratto, ricorsi a raffica, a partire dai Tar per finire ai più alti gradi della magistratura amministrativa. Cosicché ogni “scippo” a danno dei porti si traduca in una infinita serie di pratiche, in tempi lunghissimi e alla fine in un onere finanziario maggiore del ricavato.
Ma è così, davvero, che si amministra questo nostro povero Paese e la sua – un tempo eccellente – portualità?
A.F.
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