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Renato Ferraro “Romanzetto di amori, di mari e di battaglie” – LIBRI RICEVUTI

Prima di presentarvi questa fantasiosa ed eruditissima novella (che lo stesso autore definisce in copertina come storico diacronico demenziale) devo presentarvi, per chi non l’avesse già identificato, l’autore. Ebbene si: è l’ammiraglio ex ispettore capo delle Capitanerie di porto Renato Ferraro di Silvi e Castiglione, napoletano verace e di orgogliosa napoletanità, e come spesso accade per i nobili del sud Italia, di smisurata cultura non solo umanistica. Personalmente ho molto apprezzato negli anni i suoi frequenti articoli storico-filosofico-letterari sulla “Rivista Marittima”: ma so bene che sono solo la punta dell’iceberg della sua produzione, perché ha scritto su decine di altre pubblicazioni, tradotto libri dal tedesco e dall’inglese, tenuto conferenze e lezioni. Quando non scrive, a parte qualche sciagurata – me lo perdonerà: e del resto credo lo pensi anch’egli – esperienza politica, coltiva l’altra grande passione che è la musica, suonando il basso-tuba in una Band. Anni or sono – non racconto quanti per non far torto a lui e a me – riuscì a trasformare una seriosa serata dell’Ucina in quel di Portofino in una deliziosa notte di musica esibendosi senza rete al pianoforte fino alle ore piccole. Lasciò tutti a bocca aperta.
[hidepost]E veniamo al libro. Che non è certo il … romanzetto come vorrebbe far credere nel titolo, ma una storia divertente e divertita dove le citazioni letterarie, i riferimenti storici alle realtà del IX secolo nell’Italia meridionale da Napoli alla Sicilia allora saracena, s’incrociano e si mescolano ad anacronismi scoppiettanti: uno per tutti, i commenti sul naufragio di una nave oneraria sulle scogliere dell’isola Aigylion e sulla fuga a terra del suo kubernetes, occasione per giudicare la trasparente vicenda della “Costa Concordia” alla luce del III libro dell’Etica Nicomachea….
Non vado oltre, perché so che mi farei prendere la mano. Questo lavoro dell’amico Renato non è libro da leggere d’un fiato: anzi, come i migliori vini, va delibato con calma, centellinato pagina per pagina. Condito d’ironia e qualche volta di sarcasmo – i maledetti longobardi sono una citazione corrente, che richiama forse un giudizio su chi, nell’attualità, cala dal nord – il racconto affidato ad un “io narrante” che s’indovina marinaio e soldato napoletano, appare più che altro una scusa per descrivere gli eventi storici dell’epoca, con le alleanze incrociate dei principati del sud con i saraceni da una parte e i veneziani dall’altra. E il contorno di caste storielle di donne, di sorprese citazioni di costumi, di intermezzi con gli stornelli partenopei, ne fanno un racconto di guerra che non è solo guerra, di amore che è – come vuole la napoletanità “scorrucciatiello” e di filosofia popolare che sembra la più alta espressione della vera philosophia: quella che, unica, dovrebbe consentire l’ingresso – cito Ferraro che a sua volta cita – in paradiso.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
20 Maggio 2015

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