Salvare il mare con la pesca “sostenibile” e l’itticoltura
Il recentissimo vertice COP26 sull’ambiente ha generato speranze, ma anche illusioni. Comprese quelle dei tanti che hanno manifestato a Glasgow ma non soltanto, chiedendo misure più drastiche. Le chiede anche Federico Sanna con una lunga nota sul web che abbiamo dovuto riassumere qui sotto.
Personalmente sono convinto che i grandi vertici mondiali, come il COP26, siano più che altro una questione di lifting, ovvero di ripulitura dell’immagine, ma non producano né possano produrre interventi drastici per invertire i processi inquinanti. Però almeno per il mare si potrebbe e dovrebbe fare di più, visto che la pesca indiscriminata sta distruggendo intere specie. Si sono (forse) salvate le balene, perché non si rende obbligatorio l’allevamento delle specie ittiche più richieste dai mercati, stabilendo quote drastiche del prelievo in mare?
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Caro amico Sanna, è vero che l’eccesso di prelievo ha sterminato specie un tempo diffuse: basta citare le acciughe del Tirreno, che tra la Corsica e l’isola di Gorgona muovevano intere flottiglie di pescatori dalla Liguria alla Campania. Lo stesso sta accadendo per il super-prelievo dei salmoni e specialmente del merluzzo nel mare del Nord, tanto che si è chiesto (invano ad oggi) di sospenderla per qualche anno in modo da far ricostituire gli stock.
Ci sarebbe però di peggio: secondo il National Geographic attualmente si stanno aggredendo gli stock del krill in tutto l’Antartico, minando l’intera catena alimentare marina: pescherecci attrezzati con reti speciali drenano giornalmente tonnellate di micro-organismi tanto preziosi, per alimentare l’industria dei cibi per cani e gatti. E nessuno ancora protesta come il pescatore della foto scattata a Glasgow nei giorni scorsi.
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