Livorno, l’inflazione si affloscia (e forse non è un bene)
Alla metà del decennio scorso una fase di deflazione senza fine
LIVORNO. Altro che amaranto campioni sui campi della serie D: nella mappa delle 33 città medie e grandi “fotografate” dall’Istat per le proprie statistiche sull’inflazione, Livorno figura in “zona retrocessione”. Nell’ “istantanea” relativa allo stato delle cose nel marzo scorso il dato livornese è al penultimo della scala: il caro-vita mostra un incremento tendenziale dell’1,3% a fronte di una media nazionale che sfiora i due punti (e, all’altro estremo della classifica, vede Padova a un niente dai tre punti percentuali: più del doppio che all’ombra dei Quattro Mori).
Non va granché meglio a febbraio: quart’ultimi con l’inflazione locale all’1,2%, quella nazionale all’1,6% e Rimini record al 2,7%. Idem a gennaio: quartultimi anche in quel caso con l’inflazione attestata allo 0,9% (mentre la media nazionale arriva all’1,5% e Bolzano vola al 2,5%).
Si potrebbe continuare ancora per mesi e mesi: salvo dicembre, mese in cui Livorno figura nella metà bassa della classifica e ha una inflazione al di sotto della media nazionale ma di poco, in tutti gli altri report dell’Istat si oscilla fra la penultima posizione (novembre), la quartultima (settembre) e le ultime sei piazze (ottobre). Per vedere un livello di rincari più alto che in media nel resto del Bel Paese bisogna tornare indietro a agosto.
Alla metà dello scorso decennio Livorno è stato un caso unico in tutta Italia per un ciclo di deflazione senza precedenti, almeno recenti: per più di 20 mesi consecutivi filati il rincaro dei prezzi è risultato con il segno “meno”. Possibile che, dopo aver vissuto l’incubo dei rincari del caro-vita anche al 20% annuo, ci si debba lamentare se l’inflazione va “troppo piano”. In teoria potrebbe essere un ingranaggio messo in moto dalla crescita della concorrenzialità o da una impennata della produttività o dell’efficienza. Benissimo, ma proprio quell’esperienza ha insegnato che l’inflazione può essere bassa o addirittura sotto zero per motivi meno virtuosi: ad esempio, la domanda troppo fiacca perché la gente non ha in tasca quattrini da spendere o, se si sente assediata dai timori per il futuro, preferisce tenerseli e rimandare gli acquisti o comunque vivere un po’ al di sotto delle proprie possibilità perché, come suol dirsi, non si sa mai.
Anche in quella fase di circa dieci anni fa la batosta non arrivò all’improvviso: era stata preparata da ben 27 trimestri consecutivi – cioè quasi sette anni – in cui le vendite al dettaglio avevano mostrato un grafico all’ingiù nei report trimestrali sfornati dal centro studi della Camera di commercio.
Mauro Zucchelli