Ho fatto tra gli incubi un sogno
LIVORNO – Scusatemi se questa volta scribacchio di me stesso, rubando spazio a ben più esimi pareri, appelli, grida manzoniane eccetera.
Mai come in questo periodo se ne son viste raffiche: Chi non piange – dice un carognesco proverbio popolare – non puppa.
Piangere in ordine sparso però quanto serve?
Vengo a me: Questo è un periodo difficile, come può capitare a ogni vecchio che, raggiunto da un preavviso, si scopre vecchio e a prossima scadenza. Quando la Bella Signora ti prende per mano, è difficile non voltarsi un attimo indietro. Ci si chiede perché questa “bella famiglia d’erbe ed animali”, come scriveva Foscolo, stia perdendo il senso reale della vita e insieme la capacità di far bene, far meglio e far presto.
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Così vi racconto, in sintesi, il sogno.
Che come tutti i sogni so bene essere irreale.
Però come sarebbe bello poter vivere, lavorare, crescere e far crescere senza quella valanga di leggi, di norme, di ukase e spesso di isterie pubbliche, che oggi ci rendono impossibile operare senza che ci sfiori una accusa d’essere delinquenti. Diceva Cicerone, che se ne intendeva: troppe leggi, cattiva giustizia. Tante volte ho citato esempi di fatti incredibili: lavori per migliaia di addetti fermati decenni per paura di una firma, condanne per iniziative pubbliche e private con anni di gogna seguiti da assoluzioni…
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Semplicemente: siccome questo nostro (vostro) mondo reale è complesso ma anche vale la pena di non diventare un calvario, non servono pannicelli caldi, riformine, colpi di maquillage. “Vaffa” e non oltre. Ma per toglierci di mezzo l’incredibile guazzabuglio di norme e controfirme, per cambiare il criterio del “Siamo tutti colpevoli, salvo quelli non ancora scoperti, bisognerebbe forse ripartire dalla base. Meno leggi, meno sospetti a priori per ogni atto da firmare, meno rimpalli di responsabilità, più operativi come insegnano ormai le tecnologie, dove il tempo è la prima esigenza.
Miracoli? Forse: ma come diceva Totò, tocca agli uomini, non ai mezzi uomini o ai quaquaraquà.
Antonio Fulvi
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