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L’elefante, il dragone e Panama-bis

NEW DELHI – “Ormai si parla apertamente del sorpasso della nostra economia su quella della Cina”. Palaniappan Chidambaran, ministro dello sviluppo dell’India, l’ha dichiarato di recente a Mumbai durante un convegno internazionale sulle riforme del suo paese. Ma non è il solo a sottolineare con orgoglio che il tasso di crescita dell’economia indiana va come un jet: l’economista americano (di origine cinese) Minxin Pei ha scritto sull’”Indian Express” (di recente citato anche sul nostro quotidiano “La Repubblica”) che il sorpasso sulla Cina è diventato l’obiettivo primario dei dirigenti indiani.

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Lo scontro, inutile dirlo, è tra titani: e la vecchia, stanca e spaventata Europa della crisi ormai permanente, sembra non possa far altro che starsene a guardare. Sempre su “La Repubblica” si citano le eccellenze e le debolezze dei due giganti: l’elefante indiano ha dalla sua un tasso di natalità superiore, con più giovani rispetto alla Cina (che ha frenato le nascite) e il vantaggio della lingua universale, l’inglese, conosciuto da tutti; il dragone cinese ha puntato più sulle infrastrutture, nettamente più avanzate, sull’istruzione (più anni di scuola rispetto agli indiani), sulla tradizionale capacità di lavoro dei cinesi. L’India eccelle nella matematica e nelle discipline informatiche, ma anche nelle libertà personali che danno motivazioni; la Cina è ancora ostaggio di principi comunisti, almeno nelle libertà, per quanto ormai inserita nell’economia di mercato. Entrambi i paesi sono ancora tributari, in parte, di tecnologie e dei mercati dell’Ovest. E questo spiega perché alla fine la logistica mondiale si regge in parte sul loro sviluppo. E perché le grandi compagnie dei containers stiano di nuovo scommettendo sulle rotte con il Far East, che bene o male considerano ancora fondamentale il Mediterraneo.

Ma gli economisti più illuminati avvertono che altri pericoli sono in vista proprio per il Mediterraneo e i suoi porti. Uno dei principali è il secondo Canale di Panama, il grandissimo, ipotizzato collegamento superstradale e ferroviario tra Atlantico e Pacifico che s’intende costruire in Columbia che correndo parallelo al canale vero e proprio potrebbe almeno triplicare l’interscambio tra Cina, India e Brasile, ovvero tre dei principali protagonisti del BRIC. Relegando in questo caso il Mediterraneo a “local sea” con riflessi disastrosi anche per Suez. E i porti del sud Europa potranno allora salvarsi, almeno in parte, solo specializzandosi nei collegamenti con un Nord Africa finalmente in crescita, nell’ipotizzato e ad oggi mai decollato “libero mercato del Mare Nostrum”.

Ipotesi di fanta-economia? Forse. Ma tenerne di un qualche conto può aiutare, in tempi di grandissime trasformazioni epocali come questi.

Pangloss

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Pubblicato il
10 Settembre 2011

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