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Bidoniade e il WWF ricorda…

LIVORNO – Conferenze stampa, “vertici” comunali, sindaco ed assessori che si agitano: sulla disgraziata vicenda dei bidoni di solventi finiti in mare a gennaio dall’”Eurocargo Venezia”, non si capisce più dove sia l’impegno per la tutela dell’ambiente e dove il tentativo di cavalcare una delle tigri di carta dell’ambientalismo di maniera.

[hidepost]Perché da una parte le continue, approfondite (e costose) analisi fatte dall’Arpat e dagli altri istituti subito scatenati sull’affaire, hanno confermato che non esiste né inquinamento né ricadute negative sulla fauna; dall’altra si stanno spendendo valanghe di soldi, anche pubblici (ma non è che quelli privati escono dalla lampada di Aladino: da qualche parte dovranno necessariamente essere recuperati, su tariffe o altro) per un accanimento terapeutico che è contro tutte le logiche.

Una valutazione soggettiva, la nostra? Può darsi: e come tutte le valutazioni soggettive, è passibile di critica. Ma nello stesso rapporto del Comune di Livorno, firmato dal dipartimento di politiche del territorio (dottor Leonardo Gonnelli) a proposito del materiale dei fusti – che certa stampa si ostina chiamare “i bidoni dei veleni” – si dice testualmente – “Arpat, sulle analisi di acque e sedimenti ha confermato che non sono state evidenziate significative contaminazioni su campioni prelevati ed inoltre i test eco-tossicologici sono risultati negativi. Inoltre ha confermato che le analisi chimiche effettuate sul campione proveniente dal bidone superstite depositato a Genova confermano che il materiale è risultato estremamente solubile”.

Ovviamente Arpat ci tiene a fare il proprio mestiere e a continuare le analisi “affermando la necessità di proseguire nell’attività di monitoraggio con ulteriori analisi in sito e off-site per rilevare un eventuale bio-accumulo”.

Non ci sarebbe altro da dire, se non che ci sarà un altro vertice, questa volta in Capitaneria, mercoledì prossimo 19 settembre. Con tanto di “comitato” con 4 mila firme che chiedono di togliere tutti i bidoni, alla luce del grido “chi inquina il mare deve pagare”. Peccato che se il mare viene inquinato da terra, come succede anche qui e in molte altre parti d’Italia, nessuno paga e nessuno si mobilita.

Sulla situazione del nostro mare peraltro, arriva a pallino un rapporto del WWF dei giorni scorsi sulla base della campagna “Per un Mediterraneo di qualità”. Il presidente Stefano Leoni parte dal decreto anti-inchini per ricordare che i nostri mari sono perennemente soggetti a scarichi di tutti i tipi e suggerisce di salvaguardarlo non certo con operazioni di caccia ai bidoni ma con l’istituzione di zone off-limits per certi tipi di navi (in particolare corridoi nel Santuario dei cetacei Pelagos), nel fare navi più ecologiche, nel salvaguardare la flotta antinquinamento (dal 2013 ricomincia l’odissea di Castalia) e in nuove regole internazionali sulla base della convenzione Unclos.

A fronte dei famosi bidoni finiti nella fossa al largo della Gorgona e vicini alla Corsica (dove isterie come quelle livornesi non ci sono) il WWF ricorda che nel Mediterraneo transitano annualmente 3,6 miliardi di tonnellate di merci e che ogni giorno ci passano 9 milioni di barili di greggio, di cui la metà scaricati sui porti italiani con raffinerie, tra i quali ovviamente Livorno. Ricorda anche che dal 1985 al 2010 ci sono stati 27 incidenti con uno sversamento complessivo di 270 mila tonnellate di idrocarburi, con l’Italia che ha il record del greggio finito in mare. La memoria della gente è corta, ma la tragedia della “Moby Prince” e il contemporaneo sventramento dell’”Agip Abruzzo” davanti a Livorno mobilitarono i tutori del mare pulito meno di quanto oggi si fa per quei fusti di assai dubbia pericolosità. Ma forse perché a politici, tecnici, comitati (e mettiamoci anche la Capitaneria) fa più comodo agitare un fantasma tutto sommato innocuo che risolvere problemi più seri e pressanti di inquinamento costiero reale?

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
12 Settembre 2012

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