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Trieste, “guerra” al Molo VII

Dura nota in difesa del TMT, accusato da esponenti sindacali sulle retribuzioni – La concorrenza di Koper e gli investimenti

Pierluigi Maneschi

TRIESTE – La Trieste Marine Terminal, società di gestione del Molo VII al porto di Trieste, conta oggi tra le sue fila 155 dipendenti diretti, mentre almeno altri 620 sono da aggiungere come indotto derivante dalle attività svolte. Entro il 2014 si punta ad un traffico movimentato di oltre 500.000 Teu, mentre alla fine del 2013 verrà conseguito il nuovo record di traffico da sempre, con circa 460.000 Teu. Nel 2004 i lavoratori direttamente impegnati al Molo VII erano 3, oltre al personale in distacco dall’Autorità portuale, e i Teu movimentati 118.000.
[hidepost]Questi risultati non sono frutto del caso – sottolina una nota in difesa della società – ma di una politica di investimenti portata avanti da Tmt (del Gruppo TO Delta facente capo a Pierluigi Maneschi) che ha ridisegnato il layout del terminal, incrementato i collegamenti ferroviari, riammodernato e acquistato nuovi mezzi di movimentazione, nonché eseguito l’upgrade delle gru, pronte oggi ad accogliere le meganavi fino a 13.000 Teu, di dimensioni, quindi, ancora maggiori rispetto alla più grande nave mai salita in Adriatico e accolta a Trieste per la prima volta durante l’estate appena trascorsa.
“Per questi motivi dispiace constatare ancora una volta – continua la nota – la presenza di persone che, per ragioni squisitamente politiche e opportunistiche, si prodigano di elargire dichiarazioni lesive dell’immagine del Porto.
“Si tratta, in particolare, di esponenti delle organizzazioni sindacali di categoria i quali, invece di preoccuparsi di favorire l’inserimento dei giovani in ambito portuale, continuano a difendere in maniera eccessiva chi ha già un lavoro, per giunta ben retribuito.
“Spesso, per il lavoro portuale, i problemi derivano dalla mancata applicazione di quanto già previsto dalla legge sui porti. Ma ciò non accade a Trieste dove, per quanto riguarda Tmt, la stragrande maggioranza dei lavoratori sono dipendenti diretti, in completa applicazione di quanto previsto dalla normativa in materia, e dove la paga media mensile, netta, è di circa 1800-1900 euro. A fronte di costi del lavoro in linea con il mercato europeo, Tmt non può applicare tariffe adeguate poiché in concorrenza col vicino Porto di Capodistria, dove i costi sono inferiori nell’intero ambito delle operazioni. Dopo anni di investimenti, infatti, non è ancora giunto l’utile di esercizio, ma Tmt è riuscita comunque a fornire un servizio migliore alle società di navigazione, consentendo alle stesse di investire su Trieste con maggiori traffici e relative maggiori ricadute occupazionali ed economiche sul territorio”.
Il “paradosso” menzionato in questi giorni – continua la nota – in un articolo della stampa locale tra la cassa integrazione (che se attivata influirà in maniera minima sulle retribuzioni mensili dei dipendenti Tmt) e l’aumento dei traffici in realtà non è tale. Per spiegarlo è sufficiente il riferimento all’atipicità del lavoro portuale: in alcuni periodi si lavora molto intensamente, in altri si rischia addirittura di restare inoperosi a causa dei concentramenti di arrivo navi, indipendenti dalla volontà del terminalista.
Nel corso delle ultime vicissitudini relative alle difficoltà di alcune cooperative portuali, inoltre, le società del Gruppo Maneschi si sono fatte carico di risolvere i problemi della Coop Primavera e Commessi Sopraccarichi, assorbendo in organico 64 persone, salvandole di fatto dalla disoccupazione conseguente alla chiusura delle stesse Cooperative.
“Per questo, di nuovo, spiace constatare che – conclude il documento – invece di remare tutti nella stessa direzione a garanzia dei posti di lavoro, si preferisce dar vita a sterili polemiche su ciò che è invece un elemento accertato: il porto di Trieste ha traffici in crescita, e in particolare quello dei container, nonostante il periodo di crisi nazionale e internazionale.
In alcuni ambienti sindacali, invece, si vorrebbe indirizzare il lavoro portuale al monopolio che regnava nel passato, con evidenti privilegi per chi era occupato negli scali, a dispetto di altri lavoratori. Invece di ridurre questa disparità di trattamento, alcuni sindacati vorrebbero vederla aumentata a vantaggio di chi lavora in porto: un impiego serio e impegnativo, ma che l’informatizzazione e le nuove tecnologie hanno alleggerito e notevolmente migliorato. Senza contare che un simile atteggiamento protezionistico va in netto contrasto con le direttive Ue in materia di liberalizzazione del lavoro, riducendo notevolmente le opportunità di nuove assunzioni in ambito portuale”.

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Pubblicato il
16 Novembre 2013

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