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Quel disperato bisogno d’ottimismo

Giuliano Gallanti

LIVORNO – Che la bandierina del vento, fino ad oggi pesantemente contrario all’economia labronica, cominci a girare a favore? D’accordo, in tempi di crisi tanto drammatica da far scrivere a qualcuno (Marco Damilano in una pregevole anche se distruttiva analisi sul web) “Addio Livorno bella”, forse abbiamo una disperata voglia di buone notizie. Ma l’impegno della Regione Toscana per finanziare parte della piattaforma Europa, ovvero dell’unica chance del porto labronico di entrare nel futuro, è un dato di fatto. Promesse della politica?
[hidepost]Ad oggi, è quello che passa il convento. Del resto, ha ragione Damilano: Livorno è l’esempio paradigmatico di come il lavoro si sia ritirato dal territorio: via la Trw, via l’Eni, bastonate alla rete commerciale con la morìa continua dei negozi, in rianimazione la Cilp, in porto un unico operatore che compra alla grande (Neri) mentre altri cedono. Si cita Pasolini della Livorno d’antan, “la città più comunista e più americana d’Italia”: che oggi non è più comunista – se mai lo sia stata in fondo all’anima: o avesse ragione Malaparte che la definiva la Napoli della Toscana – e tantomeno americana (si veda la fine che ha fatto il celebre -altri tempi – omonimo mercatino.
Dunque, il porto di domani. Il piano regolatore è in dirittura d’arrivo dopo sessant’anni e la sua attuazione pratica – almeno la prima tranche, che sarebbe già una svolta – non costerà uno sfracello: 640 milioni, dicono gli uffici. Tanto per fare un paragone, contro i 400 che sono stati spesi per Vado; e contro un miliardo e mezzo che costerebbe (usiamo il condizionale: non ci resta che la speranza in un rinsavimento) la piattaforma offshore di Venezia, caldeggiata dall’Authority locale e considerata una rovinosa follìa dalla maggioranza dei suoi critici, a cominciare dalla vice di Renzi Debora Serracchiani.
Sulla cifra stimata, la Regione s’impegna per un terzo: lo ha detto Rossi (vedi articolo in queste stesse pagine). Da Gallanti arriva un’altra conferma: l’Authority ha la capacità economica di contrarre un mutuo per almeno un altro terzo: e saremmo a 430 milioni su 640. C’è da credere che per i restanti 210 milioni possa intervenire lo Stato? O c’è da sperare invece che intervenga un terminalista, con l’impegno di avere una concessione sufficiente a garantirgli un futuro redditizio?
Di impegni, in questo senso, ne abbiamo sentiti anche di recente: a cominciare da Luigi Negri che alla cerimonia di ritorno della Zim in Darsena Toscana ha ricordato che il suo gruppo c’è ed è pronto, su progetti concreti e burocrazia veloce, a fare la sua parte. Ma non è il solo. Ci risulta che l’Authority abbia ricevuto richieste concrete da un importante gruppo cinese (sembra attraverso lo stesso ambasciatore d’Italia) e abbia a sua volta attivato un broker internazionale per mettere sul mercato l’operazione. Con il piano regolatore approvato in via definitiva, con il coordinamento reale con le istituzioni locali – Regione e Provincia ci stanno già, il Comune è un’incognita che quanto prima dovrà essere chiarita) e con il valore aggiunto di una piana di Collesalvetti aperta agli insediamenti, grazie anche all’interporto diventato retroporto, con il collegamento ferroviario diretto delle banchine alla rete che sarà pronto a mesi e con lo “scavalco” anch’esso in via di partenza, la piattaforma Europa potrebbe essere una delle più importanti realtà portuali del Tirreno, per non dire del panorama portuale nazionale.
Sogni? Certo, in un Paese dominato ancora dalle lotte fratricide tra istituzioni di diverso colore politico, dove la burocrazia troppo spesso privilegia le regole ottuse alle necessità del buonsenso, sognare può anche essere un esercizio di credulità. Però proviamoci, dai!
C’è un disperato bisogno di ottimismo, lo vediamo tutti.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
15 Novembre 2014

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