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Mille container ogni anno cadono in mare dalle navi

Negli ultimi tempi il fenomeno è in calo ma solo perché diminuiscono per la crisi i Teu imbarcati – Il problema di quelli che galleggiano – Immense isole di rifiuti in tutti gli oceani

PARIGI – I recenti casi di carichi di Tir e containers finiti in mare dalle navi nel Tirreno e davanti alla Sicilia, hanno riportato all’attenzione del grande pubblico un fenomeno che, tutt’altro che limitato alle acque italiane, sta diventando un problema mondiale con riflessi sia sull’ambiente che, più prosaicamente, sulle assicurazioni e sulla sicurezza.
Le principali organizzazioni mondiali, come IMO e gli stessi P&I, sono sul tema piuttosto reticenti. Eppure qualche risposta arriva proprio in questi giorni – pubblicata su una rivista francese – dal CEDRE, ovvero il Centre de documentation, recherche et experimentations sur les pollutions accudentelles des eaux che ha monitorato dal 2007 anche le perdite di carico da parte di navi in particolare da Capo Finisterre alla Manica.
[hidepost]Solo in quella zona, notoriamente tutt’altro che facile per la navigazione, nel 2007 le navi vi hanno perduto 275 containers, mentre nel 2008 il numero è calato a “soli” 90. Considerazione dei ricercatori: “Se si va a estrapolare questa cifra in scala mondiale, si può stimare in circa mille containers all’anno quelli che finiscono in mare dalle navi”.
Vengono forniti anche altri dettagli: il picco delle perdite si verifica da novembre a febbraio in Europa, sono più frequenti dalle navi piccole e medie (feeder) che non dai giganti e la causa principale è un rollio improvviso e violento che sblocca il sistema automatico di ancoraggio in coperta. Da un’inchiesta condotta di recente dal WSC americano (World Shipping Council), su cento milioni di contenitori che annualmente viaggiano via mare le perdite di circa un migliaio di pezzi alla fine diventano una piccolezza: e va precisato che dal 2008 ad oggi il numero dei containers caduti in mare va diminuendo di anno in anno, sia per le misure di sicurezza, sia anche – e WSC lo ammette con franchezza – perché per la crisi mondiale sono diminuiti i containers che viaggiano per mare.
La quasi totalità dei containers perduti in mare – dice ancora il CEDRE francese – vanno a fondo immediatamente o nel giro di poche ore. Ma un 5% del totale rimane a galla, spesso con appena un angolo che affiora, e rappresentano un forte pericolo per la navigazione delle piccole navi e delle imbarcazioni da diporto. I casi di yachts affondati per una collisione con questi che i francesi chiamano OFNI ( tradotto: oggetti galleggianti non identificati) non sono rari, specie durante le regate transoceaniche con barche capaci di viaggiare ad alte velocità e quindi con impatti estremamente violenti. E che il fenomeno stia davvero preoccupando lo conferma la guardia costiera USA che in collaborazione con il servizio meteorologico norvegese ha messo a punto il modello “Mothy”, che grazie a particolari programmi asserviti ai satelliti monitorizza le caratteristiche – e la velocità media di deriva – di ben 63 tipi di oggetti più frequenti in mare, dai containers persi dalle navi alle barche abbandonate in seguito a una tempesta o un incidente.
Il monitoraggio sempre più frequente degli oggetti non identificati a galla in mare ha permesso anche di scoprire vere e proprie isole galleggianti di rifiuti, che per il gioco dei venti e delle correnti si concentrano nei principali oceani. Nel Pacifico, a 900 miglia a nord-est delle isole Hawaii, esiste una immensa distesa di rifiuti galleggianti concentratissima, costituita da plastiche, contenitori, gomme d’auto, recipienti eccetera, che ha le dimensioni doppie dello stato del Texas: e che raddoppierebbe ogni dieci anni. Ci sarebbero almeno altre quattro zone di questo tipo negli altri oceani, compreso l’Atlantico, che sono attualmente sotto osservazione; e quello che risulta è che questi materiali galleggianti sono di quasi totale provenienza da terra, trattandosi di rifiuti industriali o da discariche costiere. Come scriveva poeticamente Garcia Lorca nel suo “lamento per la morte di Ignazio” dobbiamo stare attenti: perché muore anche il mare.
A.F.

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Pubblicato il
5 Gennaio 2013

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