Marittimi diporto e problemi

Marittimi e diporto la situazione è davvero disastrosa? Ecco l’analisi del comandante Dario Savino del Collegio Nazionale Capitani.

VENEZIA – Con un recente decreto, le attribuzioni delle competenze riguardanti la formazione ed i titoli della gente di mare sono state divise: per il Mercantile è responsabile il Comando Generale delle Capitanerie di Porto; per il Diporto il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Il reale motivo di tale separazione di competenze riguardante il personale marittimo, che comunque svolge la stessa professione ed allo stesso modo è munito di un identico libretto di navigazione, non è esplicitata nel decreto di attribuzione delle competenze, ma ravvisabile nei diversi canali di pressione che le lobbies imprenditoriali possono esercitare.

Ad oggi per il diporto nonostante i tavoli tenuti a Roma presso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la bozza che ha trovato la convergenza di tutti i convenuti è in attesa di un parere da parte dell’IMO che potrebbe rimettere tutto in discussione.

Il quesito posto all’IMO, cerca di stabilire se come si legge nelle premesse del codice STCW (art.3 -c) la convenzione si applica a quei marittimi che prestano servizio su navi marittime autorizzate ad inalberare la bandiera di uno degli stati membri, ad eccezione di coloro che prestano servizio su: c) yacht da diporto non impiegati in attività commerciali.

La domanda sorge spontanea, coloro che sono imbarcati su yacht da diporto, ma impiegati in attività commerciali vanno trattati seguendo il codice STCW?

Allora ritorniamo al nostro codice della navigazione?

Alla luce di tali quesiti e da quanto l’IMO risponderà, sarà utile rivedere quanto fin qui regolamentato, ripensando alla separazione delle carriere tra diporto e mercantile.

A mio parere due sono le strade percorribili:
La prima: assodato che l’STCW si applica anche a quei marittimi che lavorano nel diporto in uso commerciale, essi vanno assimilati in tutto e per tutto ai marittimi mercantili nel processo formativo, di acquisizione dei titoli STCW e nella progressione in carriera, ovvero bisogna ritornare allo status quo-ante del DM 121.

Per quanto riguarda poi il diporto non in uso commerciale, uno Stato sovrano ha il potere di decidere quali titoli sono necessari e quali le modalità per ottenerli, aderendo o meno al codice STCW, possano essere patenti del diporto o titoli professionali.

La seconda possibilità: è che se si vuole mantenere l’idea della separazione delle carriere dei marittimi del diporto da quelle del settore mercantile, e quindi dare seguito a quella bozza su cui fino ad oggi ci si è confrontati al ministero, per i titoli del diporto, anche se redatta secondo i dettami dell’STCW, dovrà essere ben chiaro a tutti che tali titoli dovranno poi essere oggetto di un riconoscimento bilaterale da parte degli altri paesi comunitari e non.

Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dovrà farsi garante di un’immediata azione di riconoscimento dei titoli del diporto all’estero, altrimenti il DM in oggetto sarà solo uno sterile esercizio formale senza nessuna applicazione pratica.

Un ulteriore periodo di attesa non è più accettabile: chi in questo momento sta perdendo il lavoro deve poter almeno preventivare una strategia, decidere se puntare su titoli alternativi che gli consentano di lavorare.

Tuttavia devo ribadire che qualsiasi sforzo per migliorare e correggere il D.M. 121 risulterà vano e privo di qualsivoglia contenuto fino a quando i titoli del diporto non verranno riconosciuti all’estero. E questo avverrà soltanto se l’Amministrazione Italiana provvederà a richiederne il riconoscimento con i necessari passi presso le amministrazioni degli altri Paesi.

Intanto in Europa e sopratutto nel Regno Unito circa 15 anni fa, spronata da un gruppo di lavoro costituito da addetti al settore (comandanti di yacht, broker, manager e l’agenzia inglese MSA oggi MCA), a cui le assicurazioni avevano esplicitato la contraddizione di noleggiare uno yacht avendo a bordo del personale non abilitato da titoli mercantili, l’agenzia inglese MCA istituiva un registro, redigeva regole tecniche per la costruzione ed instaurava una serie di titoli che abilitassero alla condotta di Yachts in uso commerciale.

Negli anni il sistema ha continuato ad evolversi, migliorarsi e diffondersi nel mondo come lo standard mondiale per gli yacht che sono usati commercialmente.

Se all’inizio la qualifica Master 4 Y era solo per il comandante mano a mano si sono approntati syllabus, programmi d’esame, completati dai corsi STCW (BST, Radar, ARPA, BRIDGE TEAM, MEDICAL CARE) per ogni membro dell’equipaggio, assicurando così professionalità e sicurezza ed un florido sviluppo all’industria del charter sotto la Red Ensign.

Tale organizzazione precisa, agile e facilmente fruibile, aiutata anche dai benefici fiscali previsti dal registro sotto una Red Ensign (UK, Channel, Guernsey, Bermuda etc.) ha fatto sì che quasi il 90% delle unità (yacht e mega yacht) che navigano a scopo commerciale e comunque anche privato, siano iscritte a tali registri.

Una buona parte dei marittimi italiani che era in possesso di un certificato IMO STCW aveva facile accesso al mercato del lavoro su Red Ensign, anche in considerazione del fatto che molti armatori sotto Red Ensign erano e sono di nazionalità Italiana.

In Italia spinti dalle lobbies di Confitarma e dell’UCINA in rappresentanza dell’armamento della cantieristica nautica Italiana, una delle più grandi al mondo per unità prodotte e vendute, veniva approvato il Registro Internazionale Italiano, molto simile a quello delle Red Ensign, probabilmente con qualche vantaggio fiscale in più, con lo scopo di attirare e far ritornare gli armatori alla bandiera italiana.

Si è cercato di mantenere un’alto standard di formazione per il personale che doveva essere impiegato su tali unità e con il D.M. 121 si è attuata una vera e propria separazione delle carriere tra Diporto e Mercantile, creando dei titoli ad hoc per il diporto sulla falsariga di quanto predisposto dall’MCA ed usando i moduli dei titoli IMO STCW.

Di fatto al fine della progressione in carriera e dell’accesso agli esami per conseguire titoli superiori, si è esercitata una netta separazione tra navigazione effettuata nell’ambito puramente mercantile o in quello del diporto, limitando lo scambio tra le due esperienze lavorative.

Nonostante le buone intenzioni del legislatore, il Registro Internazionale Italiano, per il pesante e lento apparato burocratico connesso e per l’assimilazione di uno yacht in uso commerciale troppo stretta ad un mercantile, ha vanificato tutti i vantaggi, rendendo tale registro inservibile per il Diporto ad uso commerciale, solo 9 unità registrate, tanto più che questo Registro non prevede l’iscrizione di yacht superiori a 1000 GT, quando questo limite è superato da molte unità, che per coincidenza sono quelle che sarebbero più interessate a questo registro.

I lavoratori marittimi che prima avevano prospettive lavorative abbastanza ampie,si sono visti, con un solo decreto, restringere l’orizzonte ad uno spiraglio stretto e buio.

Non vi è la possibilità di transitare agevolmente dall’ambito del diporto a quello mercantile e sopratutto di accedere al mercato del lavoro sotto bandiera non italiana, visto che i nuovi titoli del diporto non sono riconosciuti all’estero.

Il popolo delle patenti nautiche, pur di conservare un lavoro, sacrificandosi, ha affrontato personalmente i costi dei corsi e della preparazione per accedere ad un titolo del diporto, per poi scoprire che i titoli del diporto attualmente sono perfettamente inutili al di fuori della bandiera italiana.

Un’ulteriore penalizzazione è stata introdotta considerando come valida, al fine di accedere ai titoli del diporto, solo la navigazione fatta su unità da diporto in uso commerciale svolta su unità superiori a 500 gt, escludendo il diporto in uso privato. Tanti ragazzi diplomati nautici che hanno fatto le prime esperienze su una nave da diporto, magari superiore a 50 mt e 500 tsl, non possono accedere ai titoli mercantili e nemmeno a quelli del diporto se lo yacht su cui hanno navigato era in uso privato.

E’ evidente a tutti che non vi è differenza alcuna nell’esercizio di gestione della navigazione: la stabilità, la navigazione astronomica, la sicurezza restano le stesse che la nave sia ad uso privato o commerciale.

Vorrei inoltre segnalare alla vostra attenzione che in seguito alla circolare del 17.12.2008 titolo XIII, chi oggi in funzione di un titolo mercantile, riesce ancora a navigare su uno yacht di bandiera estera, diporto o commerciale, non ha la possibilità di farsi riconoscere, autenticare e registrare a libretto i periodi di navigazione. Per tale motivo all’atto del rinnovo del titolo mercantile IMO, non sarà in grado di dimostrare i dodici mesi di navigazione necessari, ragion per cui gli verrà negato il rinnovo di tale titolo con le evidenti conseguenze professionali ed occupazionali.

Altro problema riguarda coloro che prima del 2008 hanno frequentato i corsi come Company Security Officer e Ship Security Officer presso il RINA ed altri enti autorizzati dal ministero secondo i dettami del codice ISPS.

In conseguenza dell’adesione alla normativa internazionale, l’Amministrazione Italiana ha previsto una finestra di soli sei mesi nel 2009, per la conversione dei certificati di Ship Security Officer conseguiti prima del 2008.

Non tutti i marittimi sono stai informati di tale strettissima finestra ed oggi non solo hanno perduto il certificato di Ship Security Officer, ma si vedono penalizzati da una interpretazione delle circolari IMO non corretta, in quanto si richiedono 12 mesi di servizio su una nave soggetta ad ISPS come requisito per accedere al corso, quando la circolare IMO prescrive solo 12 mesi di navigazione.

La situazione attuale è disastrosa: tanti marittimi che operano nel diporto stanno perdendo il lavoro; la nostra competitività sul mercato europeo e mondiale nello yachting risulta azzerata. Ci sono associazioni di marittimi del diporto che hanno proposto ricorso al Consiglio di Stato contro il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, altre pronte a scioperi e gesti eclatanti, chiedendo a gran voce l’abrogazione del D.M. 121 ed il ripristino dei vecchi titoli così come erano sanciti dal Codice della Navigazione. Sono loro che al momento stanno pagando il prezzo più caro, sprovvisti degli strumenti necessari per poter lavorare.

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