Sacrifici: ma quando la finiremo?
Il lettore Paolo Bianchini, che si dice oriundo toscano in Sicilia, ci scrive sul web:
Cara Gazzetta, per prima cosa grazie del messaggio “toscano” che mi arriva qui a Palermo grazie alle vostre pagine, che trovo sempre più aperte e anche divertenti per le rubriche e per gli editoriali. Queste mie poche parole sono solo uno sfogo: stanno arrivando in questi giorni le cartelle esattoriali, il commercialista mi ha preannunciato altre lacrime e sangue. Possibile che dopo questa pandemia mondiale e dopo il collasso dell’economia – compresa quella famigliare – ci si chiedano sacrifici fiscali come se nulla fosse stato?
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Caro amico, grazie dei grazie. E sul fisco sfonda una porta non solo aperta, ma spalancata. Potremmo ricordarle da quanti anni si parla di riformare il sistema fiscale italiano, riconosciuto come uno dei peggiori e più vessatori al mondo: ma ad oggi ci siamo sempre fermati alle parole. Anche le considerazioni da parte della politica secondo le quali chi più ha deve essere “massacrato” fa parte di una mentalità che non condividiamo. Bisognerebbe distinguere: per esempio, sulla proprietà immobiliare, che per antica cultura nazionale è sempre stata l’obiettivo di una famiglia, nel (superatissimo, ahimè) concetto che il mattone rappresentava il miglior investimento e i propri risparmi. E così via.
In quanto ai sacrifici che lo Stato ci chiede, nella prospettiva di sanare le cose, non illudiamoci. La vignetta che riportiamo qui sotto è del 1976, quando gran parte di voi non era ancora nata. Il vampiro della copertina della rivista Linus era Andreotti: ma oggi potremmo mettere al suo posto uno qualsiasi dei nostri capi di governo. E la colpa? Morì fanciulla, come diciamo in Toscana.
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