L’ANGOLO (del) MARITTIMISTA – DDL Concorrenza e articolo 18 (84/94) “riformina” o “arte del (non) fare”?

Luca Brandimarte

Il nostro collaboratore e avvocato Luca Brandimarte, advisor for EU and legal affairs anche in Assarmatori, affronta oggi il tema riguardante il DDL Concorrenza.

ROMA – È circolata a più riprese nelle scorse settimane la bozza del DDL Concorrenza che prevede interventi normativi per determinati settori che interessano l’economia del nostro Paese; tra questi v’è anche quello portuale.

Ora, con specifico riferimento al nostro settore, l’articolo 3 del disegno di legge in commento, rubricato “Concessione delle aree demaniali portuali”, propone una totale riformulazione dell’articolo 18 della Legge n. 84/94 in materia di concessioni.

Anzitutto, al comma 1, si tenta di superare l’idea del “regolamento concessioni” da predisporre su indirizzo centrale e si lascia – o almeno così sembrerebbe – maggiore autonomia alle singole AdSP non tanto riguardo alle modalità di rilascio delle concessioni (che dovrà comunque avvenire per il tramite dello strumento della procedura ad evidenza pubblica, come da tempo rilevato dalla giurisprudenza), ma al contenuto minimo edittale del contratto di concessione. Nulla si dice però: (i) sul principio, anch’esso di matrice giurisprudenziale, per cui le AdSP debbano tendere a concedere l’intero demanio che gestiscono; (ii) sulle aree private (all’interno dei porti) dedicate a funzioni terminalistiche, trattandosi di argomento specioso in quanto molto distorsivo oltre che contrario alla legge.

Stando al testo proposto, quindi, per affidare le concessioni, anche su istanza di parte, gli enti dovranno predeterminare un canone e pubblicare “un avviso, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e proporzionalità, garantendo condizioni di concorrenza effettiva. Gli avvisi devono definire in modo chiaro, trasparente, proporzionato rispetto all’oggetto della concessione e non discriminatorio, i requisiti soggettivi di partecipazione e i criteri di selezione delle domande, nonché la durata massima delle concessioni. Gli avvisi devono, altresì, indicare gli elementi riguardanti il trattamento di fine concessione, anche in relazione agli eventuali indennizzi da riconoscere al concessionario uscente”.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive:

– potrebbe essere rischioso prevedere indennizzi al concessionario uscente con una formulazione così generica e foriera di “appetiti” che potrebbero accendersi molto facilmente. Al contrario, sarebbe forse stato più opportuno tentare di risolvere l’annoso tema, estremamente importante per la concessione, dei mutui richiesti dai privati concessionari per finanziare gli investimenti (anche, e soprattutto, infrastrutturali) declinati nei piani di impresa e delle conseguenze derivanti dalla revoca e dalla decadenza, posto che i “lender” sono generalmente molto preoccupati dall’eccessiva vaghezza ed ampiezza di alcune previsioni normative che, ad esempio, ancora ad oggi comminano la decadenza della concessione per “cattivo uso” o per un generico “inadempimento agli obblighi della concessione” (Cfr. art. 47 Cod. nav.);

– tali previsioni, infatti, possono porre problemi di bancabilità del progetto perché “spaventano” il ceto bancario. Resta quindi il concreto rischio che, una volta esaurita la fase pubblicistica della procedura di gara e la relativa istruttoria per l’affidamento del titolo concessorio, tutto si fermi perché il migliore progetto risultato vincitore non sia però finanziabile;

– significativa è altresì l’eliminazione di ogni riferimento ai “canoni minimi” ed alle “modalità di rinnovo”: i canoni devono essere predeterminati rispetto all’avviso, ma divengono a tutti gli effetti un potenziale elemento di scelta del contraente. Nulla poi si dice sulla possibilità di avere armonizzazione dei canoni onde evitare, anche in questo caso, distorsioni della concorrenza.

Quanto poi al comma 2 (attuale comma 1-bis dell’articolo 18), si dice che “Sono fatti salvi, fino alla scadenza del titolo concessorio, i canoni stabiliti dalle Autorità di Sistema Portuale relativi a concessioni già assentite alla data di entrata in vigore della presente legge”. Anche questa sembrerebbe un’occasione sprecata. Perché se è vero che il contratto di concessione è soggetto alle norme privatistiche per ciò che riguarda il contenuto patrimoniale (e quindi intangibile in assenza di consenso di entrambe le parti), il Legislatore avrebbe potuto comunque essere “coraggioso” ed imporre una rivisitazione laddove il canone risultasse effettivamente distorsivo, poiché diverso da terminal a terminal.

Proseguendo nella lettura del testo, al comma 3 emerge che è stata poi espunta la possibilità per le AdSP di stipulare accordi sostitutivi, ancorché resti assolutamente vigente l’art. 11 della Legge n. 241/90 (che prevede la possibilità per la pubblica amministrazione di concludere accordi procedimentali o accordi sostitutivi).

Con riferimento, invece, al fatto che le “concessioni possono comprendere anche la realizzazione di opere infrastrutturali” di cui al comma 5, non parrebbe essere stato esplicitato chiaramente se le concessioni di costruzione e gestione debbano essere disciplinate o meno dal Codice degli Appalti, ovvero se la norma in questione intenda dire che la disciplina sia dettata esclusivamente dal titolo concessorio. Nel primo caso, infatti, sarebbe stato anche opportuno specificare quali siano le opere infrastrutturali che debbano seguire il Codice degli Appalti in quanto le regole in esso contenute impongono al concessionario di divenire stazione appaltante e, quindi, seguire una procedura particolarmente lunga, complessa, onerosa e tutt’altro che immune da potenziali lunghi contenziosi esperiti dai partecipanti eventualmente non vittoriosi della procedura di gara indetta dalla stazione appaltante.

“Last but not least” si parla anche dell’oramai noto comma 7. Al riguardo, il divieto di doppia concessione in capo ad un unico soggetto viene mantenuto, ma si inserisce un’espressione che lo limita ai porti minori escludendolo per tutti i porti sede di Autorità di Sistema Portuale.

Ora, al netto delle note considerazioni giuridiche di sorta, ad avviso di chi scrive sarebbe (semmai) stato più utile prevedere un opportuno regime di deroga ad un divieto che, storicamente, è tra i più violati in ambito portuale e cioè quello che all’impresa concessionaria è vietato svolgere la medesima attività in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione. Questo passaggio è molto importante perché foriero, tra le altre, di grande responsabilità in caso di infortuni al personale in aree esterne a quelle assentite.

In conclusione, è chiaro come la proposta normativa in esame intervenga in maniera significativa, sebbene non strutturata e in assenza di un preventivo coordinamento a livello centrale, sul tema delle concessioni. Tale mancato coordinamento, a titolo esemplificativo, lo si evincerebbe nella misura in cui viene riconosciuto valore alla sola istanza di parte, nonostante la chiara giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di procedure di gara pubbliche per l’assentimento in concessione di aree demaniali marittime, nonché per quanto riguarda la proposta di “modifica” dell’articolo 18 comma 7; proposta che deriverebbe senz’altro da un’errata classificazione dei porti di cui alla legge portuale.

Posto dunque che la norma proposta, senz’altro, sarà oggetto di un acceso dibattito politico – in sede di commissioni parlamentari e non solo – in questo momento più che una “riformina” sa di occasione mancata, frutto probabilmente anche di una certa “arte del (non) voler fare”.

1 COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

*