Riforma dei porti o palliativo?
Riceviamo da Pier Luigi Penzo ex dirigente dell’Autorità Portuale di Venezia.
VENEZIA – Il DDL di riforma della legge 84/94 nasce anni addietro, quando la situazione geopolitica ed economica era totalmente diversa rispetto ad oggi. Inoltre sono state apportate variazioni su spinta di categorie e lobbies per cui oggi abbiamo creato un vestito non idoneo alle nuove realtà.
La ripresa dell’economia si stà intravedendo ed i porti tornano a diventare determinanti a rappresentare il volano per il rilancio dell’economia, delle imprese e quindi dell’occupazione diretta ed indiretta; c’è però bisogno di una cura intensa difficile da realizzare per le previste resistenze.
I porti italiani con rilevanza nazionale ed internazionale devono tornare a svolgere il loro importante ruolo. Per tale ragione necessita renderli economici per le navi e per le merci, efficienti al loro interno ed efficaci per i soggetti che servono.
Per renderli economici per le navi e le merci non basta avere tariffe basse di manipolazione dei prodotti. Da noi sono tutti i costi collaterali, anche in termini temporali, che determinano la fuga delle merci; necessita quindi abbattere drasticamente i costi dei servizi tecnico-nautici per le navi, ridurre in modo rilevante i costi dei canoni di concessione per i terminal, attraverso meccanismi premiali sullo sviluppo dei traffici, che effettuano investimenti e creano occupazione. Infine devono essere eliminati tutti i costi collaterali per le imprese favorendo peraltro normative liberalizzanti per l’attività delle imprese medesime con semplificazione e snellimento di tutte le attività burocratiche e doganali, sull’esempio dei porti del Nord che puntano tutto sulla certezza dei tempi nave e di consegna della merce a destino. Il legislatore deve capire che l’impresa terminalista, che è l’attore principale del porto, è una impresa privata che deve organizzare i fattori della produzione per lo svolgimento di operazioni portuali e quindi l’ottenimento del risultato economico.
Per rendere efficienti i porti necessita creare condizioni ottimali per l’accesso delle navi, disporre di terminal dotati di spazi, banchine, mezzi moderni e lavoratori capaci, agevolare al massimo l’attività dell’ impresa che, ripeto, è l’attore principale del porto, l’unico che può procurare i traffici e quindi decidere dei destini del porto medesimo.
Per renderli efficaci, cioè capaci di produrre l’effetto adeguato e conveniente dal punto di vista oggettivo e soggettivo, sono indispensabili tutti quegli interventi infrastrutturali volti a favorire i flussi ed i deflussi delle merci da e per l’hinterland di competenza, la cui dimensione dipenderà esclusivamente dall’ottimizzazione tecnica, economica e funzionale delle medesime.
L’errore fatto negli ultimi quindici anni (che ha portato ai gravi problemi dei porti italiani) è stato quello di non capire che la legge 84/94 era la traccia di un percorso da perseguire, l’inizio di un processo di trasformazione organizzativo e mentale di una realtà che doveva misurarsi non con la nazione ma con il mondo; nei quindici anni passati tutti i soggetti, che con la legge “avevano perso” potere, hanno cercato di recuperare gli spazi perduti, affossando legge e porti.
Il D.D.L. di riforma dell’84/94 ricalca tale logica negativa anche perché cercando di accontentare tutti, rischia di scontentare tutti, negando qualsiasi prospettiva ai nostri scali.
Non dobbiamo essere migliori degli altri, grazie alla posizione geografica favorevole all’Italia basterebbe essere come gli altri per avere la propria quota di traffici di competenza, che oggi per molti scali è sul 35% della potenzialità reale rispetto all’hinterland di riferimento.
La grande preoccupazione degli ultimi anni è stata la procedura di nomina del presidente dell’Autorità Portuale e continua ad esserlo nel D.D.L. solo perché rientra nella logica di sottogoverno e di gestione clientelare degli organici, perdendo di vista i veri strategici obiettivi.
In sintesi qualcuno di vero esperto ha affermato che le Autorità Portuali così come sono non servono a niente, anzi sono pressoché parassitarie e che pretendano di avere più soldi dallo Stato per funzionare, è qualcosa più che ridicolo, scandaloso.
E’ invece pensabile ipotizzare una legge che preveda Autorità Portuali di sistema responsabili anche dei collegamenti infrastrutturali stradali, ferroviari e degli interporti.
In conclusione, al fine di evitare che le Autorità Portuali vadano ad incamminarsi sulla strada fallimentare dei vecchi enti e consorzi portuali, che hanno prodotto enormi debiti ripianati a piè di lista dallo Stato (consumavano risorse senza produrre ricchezza), prima di riconoscere qualsiasi forma di autonomia finanziaria si ritiene che, in analogia dei porti del Nord Europa, le autorità di sistema dovrebbero diventare un soggetto giuridico totalmente diverso dall’attuale. Si potrebbe pensare alle s.p.a. (cioè soggetti responsabilizzati e responsabili) formate da soci a prevalenza pubblica, quindi soggetti che rispondono dei comportamenti, delle scelte e dei risultati.
Pier Luigi Penzo