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Un treno che si chiama desiderio

ROMA – Faccio una premessa, che forse non è comune a tutti voi: da qualche tempo viaggio poco in treno, anzi viaggio poco tout court. Diciamo che non è per mia scelta, così la faccio corta.

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Fatto sta che la scorsa settimana ho voluto partecipare all’assemblea straordinaria di Ucina a Palazzo Giustiniani, che prevedeva una seduta aperta alla stampa dalle 12,30, su problematiche e impegni di governo per il settore. Ne abbiamo già scritto e non è questo l’argomento: l’argomento è il viaggio per andare da Livorno a Roma. In treno.

C’è una seconda piccola premessa da fare: proprio pochi giorni fa l’amministratore delegato di Trenitalia, l’ineffabile ingegner Moretti, parlando dei brillanti risultati della sua gestione enfatizzava che si, i traffici cargo sono stati tagliati “perché rendevano un decimo del loro costo” (vedi su questo stesso giornale) ma in compenso i traffici passeggeri vanno forte e quelli “fast” (le ormai famose “Frecce”) vanno fortissimo. Dunque da buon ottimista mi sono fidato. E all’andata ho preso la “Freccia bianca” delle 9,16 da Livorno, arrivo previsto a Roma alle 11,50. La faccio corta: malgrado il nome roboante, la “Freccia” è arrivata a Roma alle 13,15, per un non meglio identificato problema a un vagone a Brignole (ovviamente nessuno ha dato alcuna spiegazione, salvo il serafico “Ci scusiamo per il ritardo” via interfono ai passeggeri inferociti. Morale: ho saltato l’assemblea, dove sono arrivato al momento dei pasticcini.

Avevo prenotato anche il ritorno, sull’intercity delle 15,46 per Ventimiglia. Mi sono chiesto all’inizio se fidarmi, ma ha prevalso un ennesimo afflato d’ottimismo: statisticamente, mi sono detto, andrà meglio.

Sbagliato: al binario 24 di Termini il treno c’era in orario – sporco, ricoperto di graffiti, scrostato e dall’aria più che sofferta – ma con le porte sbarrate fino alle 16,15 (mancava il locomotore per dare corrente) e la gente inferocita a spingersi invano sul marciapiedi, in una visione che mi ha richiamato i primi convogli post-bellici (ho i miei anni, come qualcuno sa). Morale bis: anche per il ritorno, oltre 40 minuti di ritardo, allegramente cumulati strada facendo. Insomma: un treno in orario che ormai è puro desiderio.

Non credo ci sia altro da aggiungere. Moretti ci racconti che i viaggiatori sono felici dei suoi servizi, che il caso citato è una pura sfortunata coincidenza. Io, se potessi, l’impiccherei per i piedi. Perché un paese civile si giudica anche e specialmente dalla civiltà dei suoi servizi alla gente: e a fatti, non a parole.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
8 Dicembre 2010

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