La ripresa dei traffici containers non favorisce gli “hub” italiani
In sofferenza da Gioia Tauro a Taranto, ma non sembra soltanto un problema di costi – La vicenda delle tasse d’ormeggio ridotte e la mancanza di una forte collaborazione con le istituzioni centrali e locali
GIOIA TAURO – Sembra l’ennesimo caso di coperta troppo corta, che comunque la si tiri lascia qualcosa scoperto. In questi giorni si celebrano, con toni di vario tipo a seconda del successo o meno, i consuntivi del movimento dei containers nei principali porti italiani; e se da una parte si registrano lusinghieri aumenti di traffico in alcuni dei principali scali storici (La Spezia e Genova in particolare) dall’altro si verifica una caduta significativa nei porti “hub” del sud Italia, con cifre allarmanti per Gioia Tauro, Cagliari e Taranto.
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Tanto allarmanti che qualche osservatore ne ha tratto la convinzione che i porti “hub” siano ormai destinati a soccombere a favore dei grandi porti storici ormai attrezzati per ricevere direttamente anche le main-ships; con fondali adatti, mezzi di banchina adatti, organizzazione logistica adatta, e specialmente potendo così evitare un passaggio “parassitario” di transhipment.
E’ un’analisi corretta? Non tutti lo pensano. Perché se è vero che i costi sono una componente rilevante alla base delle scelte di operare o no su un porto, non è detto che un “hub” di per se rappresenti un costo “parassitario”; è vero invece che molto dipende da quale sia la sua produttività totale e specialmente su quali economie di scala possa contare a valle delle banchine e quali prospettive abbia per il futuro.
Una riprova l’abbiamo dai nuovi “hub” del Nord Africa, che registrano – proprio mentre gli “hub” italiani frenano – crescite a due cifre, quasi a livello di quelle del Far East. E il paradosso è che gli stessi porti africani che crescono, appartengono – o almeno operano per loro – a quei gruppi internazionali che perdono pesantemente sugli “hub” italiani. Quindi almeno sotto questo aspetto c’è qualcosa che non torna: se lo stesso gruppo Contship privilegia Tangeri rispetto a Gioia Tauro, vuol dire certamente che su Tangeri guadagna di più (o nella peggiore delle ipotesi perde di meno), ma quasi certamente il vero vantaggio è un altro: che su Tangeri c’è una politica imprenditoriale chiara e aperta al futuro, mentre sull’«hub» italiano le incertezze superano le prospettive.
In una sua nota di questi giorni (che ha avuto larga diffusione e che riportiamo in questo stesso numero) Contship Italia ribadisce la necessità di una politica portuale dell’Italia, allargata anche al decentramento regionale e ai sindacati, per aiutare il suo “hub” calabro a superare questo “momento critico”. E’ una richiesta legittima, anche perché il governo ad oggi ha fatto poco. Ma non si può dire che non abbia fatto niente; specie per gli “hub”, ai quali è andato quasi unicamente il vantaggio della facoltà di ridurre o annullare le tasse d’ancoraggio varata tra le polemiche delle Port Authorities dal ministro Matteoli.
Che ci voglia chiarezza sui programmi a lunga scadenza per i porti italiani è sacrosanto; che ci voglia altrettanta chiarezza anche sui programmi dei grandi gruppi che hanno investito in strutture portuali (peraltro in gran parte realizzate dallo Stato a sue spese) probabilmente lo è altrettanto. E la proposta di Contship di lavorare finalmente insieme, con tutte le carte in chiaro e sul tavolo, dovrebbe essere colta al volo prima che sia troppo tardi.
A.F.
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