Pirateria, i costi ormai alle stelle salve solo le navi con i “marines”
Secondo Maersk quest’anno dovrà spendere duecento milioni di dollari, il doppio dell’anno scorso – Timori anche dalle compagnie di assicurazione, che rischiano di ritirarsi
LONDRA – Mentre finalmente anche l’Italia sembra essersi accorta che le sue navi senza scorta armata a bordo sono vittime predilette dei pirati somali, lo shipping mondiale fa i conti su quello che la pirateria del Corno d’Africa sta costando. E sono costi che, lungi dal riguardare solo gli armatori, ricadono a pioggia sulla catena logistica, a partire dai prezzi delle assicurazioni. Né fanno testo le (poche) operazioni militari post-sequestro per liberare equipaggi e navi: come quella illustrata dalla foto con i “marines” olandesi che si calano su una nave, operazione finita bene in quanto l’equipaggio si era asserragliato in una cala blindata fuori dalla portata dei pirati. In quasi tutti i casi, i pirati una volta riusciti a salire a bordo si fanno scudo degli equipaggi e non è possibile alcun intervento militare dall’esterno.
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Secondo la sola Maersk, la prima compagnia al mondo nel settore dei containers, il costo delle misure non militari che dovrà adottare quest’anno raddoppierà rispetto all’anno precedente, passando da 100 a 200 milioni di dollari. Il tutto a fronte dei dati forniti dall’IMO (International Maritime Bureau) che nel primo trimestre di quest’anno ha registrato da parte dei pirati somali 97 attacchi, pressoché il triplo rispetto al primo trimestre del 2010, che già risultava un anno in netta crescita sul passato.
Due i timori più sentiti e sui quali la comunità internazionale della logistica sta interrogandosi: quello che alla pirateria somala si “agganci” il terrorismo (e in questo caso le compagnie assicuratrici, che hanno aperto un’indagine in merito, minacciano di non coprire più le navi nell’area) e quello che le navi meno difese e difendibili (in genere le più lente, con bordo libero basso ed equipaggi poco professionali) siano costrette a rinunciare ai traffici nell’area, con pesanti ripercussioni sull’export di molti paesi.
Anche il canale di Suez, che rappresenta una delle principali fonti di entrata di valuta pregiata per l’Egitto insieme al turismo, sta monitorando la situazione. Dopo un drammatico 2009 e un mediocre 2010 il canale ha registrato nei primi quattro mesi di quest’anno una ripresa, sia pur modesta (+4% circa) che potrebbe però tornare a deprimersi proprio per i riflessi della pirateria. Da qui il sollecito ai vari paesi di provvedere all’imbarco di reparti militari o “contractors” bene addestrati sulle navi di bandiera; provvedimenti da tempo attuati sia dagli Usa che da altri paesi mediterranei (Israele in testa) si sono dimostrati al momento vincenti contro i pirati.
Come già scritto, l’Italia ha deciso di imbarcare dal mese prossimo i primi contingenti di “marines” del San Marco, con apposite regole di ingaggio e armamento adeguato. Ma alla decisione politica non sono seguite, ad oggi, ulteriori disposizioni operative né rapporti concreti con le compagnie di navigazione che, attraverso Confitarma o autonomamente, hanno chiesto le scorte armate.
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