Vae victis
LIVORNO – Prima considerazione: per i miracoli, bisogna rivolgersi ai santi e non basta un pur ottimo Bruschini. Seconda considerazione: sparare sulla crocerossa è da killer professionisti e da carogne. Terza considerazione: non si può nemmeno ignorare che sono tanti – come dice il vecchio adagio cinese – seduti sulla sponda del fiume ad aspettare che passi il cadavere di chi per anni e anni gli ha fatto prepotenze.
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Fine delle considerazioni: per quello che valgono, riassumono i commenti che circolano sulle banchine dopo l’assemblea della Compagnia Portuali Livorno, di cui pubblichiamo a fianco (dopo le anticipazioni sul numero scorso del nostro giornale) il comunicato ufficiale. Comunicato che ovviamente attenua il disagio, le preoccupazioni e anche l’incazzatura dei tanti soci della Cpl che non si erano accorti di come cambia il mondo.
Difficile non ricordare, a questo punto, che attraverso una cura “lacrime & sangue” sono già passate, negli anni, altre importanti compagnie portuali. E qualcuna è addirittura scomparsa, malgrado i nobili lombi e le storiche battaglie. Per anni ed anni ci siamo sentiti ripetere che la Compagnia di Livorno aveva inventato, grazie al genio di Italo Piccini, “il bu’o alla honca”, ovvero il modo di essere insieme prestatore di manodopera e impresa portuale. Invenzione geniale, che ha retto a lungo: ma anche che ha dato ai soci portuali, specialmente agli ultimi arrivati, l’illusione di poter vivere blindati in un’isola felice fuori da ogni legge di mercato. Il risveglio, come si vede in questi giorni, è stato duro: e si teme che non sia venuto a galla ancora tutto il peggio della cura Bruschini.
Detto questo, sarebbe ingeneroso dimenticare anche gli aspetti meno negativi della storia. La Compagnia, nel bene e nel male, è sempre stata in primo piano nel dare una mano (usiamo una perifrasi) alla città e alle sue esigenze. E’ stata in primo piano nelle emergenze sociali, nei soccorsi sulle grandi calamità, nel mobilitarsi in tempi record. Se ci sono stati buchi neri nella gestione con la testa – ed evidentemente ci sono stati – non altrettanto si può dire della gestione con il cuore. Come nella celebre battuta degli eroi livornesi con Garibaldi (“Quando il generale gridava All’assalto, figli di puttana” noi livornesi s’era sempre tra i primi”) difficile che non ci fossero portuali labronici dove c’era da aiutare la gente, anche a rischio della pelle.
Può tutto questo giustificare un dissesto economico che ormai è chiaro a tutti? Piano: malgrado il rapporto negativo tra retribuzioni e rendimento del lavoro, malgrado i tanti trattamenti di favore e le troppe approssimazioni (spesso conseguenza di una gestione assembleare che non favorisce certo il rigore) i portuali livornesi hanno pur sempre accumulato un patrimonio immobiliare che vale – euro più, euro meno – ben oltre 100 milioni. Certo, ci sono i leasing; certo, ci sono altri oneri correnti; certo, quando si deve vendere velocemente per coprire i buchi e occorre il cash i valori possono ridursi di molto. Ma da qui a parlare di Compagnia fallita, di default micidiale, di struttura e articolazione del lavoro da azzerare, a mio parere ce ne corre. Vanno tagliati, con coraggio e senza perdere tempo, i tanti rami secchi e rimessi i conti in ordine. Ma non siamo ancora – almeno lo spero – alla svendita dell’argenteria.
Un’ultima nota, se mi avete seguito fino a qui. Ai tempi d’oro, i portuali erano coccolati, blanditi e coinvolti in primis proprio dalle istituzioni elettive. Che nell’attuale crisi della compagnia si sono distinte per un imbarazzato e imbarazzante silenzio, rotto solo da qualche audizione, qualche balbettio a metà tra la solidarietà pelosa e i j’accuse. Per quella che è stata per decenni la “mucca” alla quale tutti indistintamente hanno attinto latte, mi sarei aspettato qualcosa di più. Invece siamo al Vae Victis di Brenno: che notoriamente la storia non ricorda per generosità.
Antonio Fulvi
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