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Così parlò la Sfinge

LIVORNO – Incredibile a dirsi, la Sfinge ha scritto. Ovvero, Piero Neri ha rotto il suo proverbiale silenzio. Merito (o colpa?) di Gallanti, come si legge qui di fianco. Ma forse val la pena anche di aggiungere qualche chiosa.


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Prima: è vero che il porto di Livorno è uno dei più cari in Italia come costi di rimorchio. Ma come ha più volte specificato la stessa Capitaneria, la colpa è della geografia portuale e non dell’impresa di rimorchio. Perché l’arte di “infilare” – e non uso il termine a proposito – una grande o grandissima fullcontainers in quel budello che da accesso al terminal TDT, richiede non solo un pilotaggio esperto ma anche due, e a volte tre rimorchiatori che lavorino di fino, in maniera coordinata e sincrona. Ce ne corre, tanto per fare un esempio, dal portare in banchina le stesse navi in porti aperti, concepiti con i criteri d’oggi (e magari in prospettiva anche su quelli di domani). Dunque, il costo è proporzionale alle difficoltà, al numero dei mezzi e al criterio di “safety first”.

Seconda: il parametro costo va raffrontato, come scrive correttamente Piero Neri qui a fianco, alla “spalmatura” dei costi fissi sul numero degli utenti. Criterio facile da capire, laddove si pensi che anche in periodi in cui non arriva nemmeno una nave da rimorchiare, esiste un servizio di guardia (per la “safety”, appunto) che tiene a disposizione almeno un rimorchiatore, con tanto di equipaggio, pronto a muovere. E non si tratta di una barchetta, ma di uno o più mezzi sofisticati e che vanno ammortizzati. Che poi le imprese di rimorchio guadagnino, e qualche volta guadagnino molto, fa parte delle leggi di mercato. Mi piacerebbe guadagnare anch’io così, ma purtroppo sono nato cronista e non so gestire un’impresa che comporta tra l’altro anche rischi elevati. Che contemplano tra l’altro periodi di crisi nera dello shipping, nei quali nessuno interviene con gli ammortizzatori sociali. Comunque di costi e ricavi m’intendo poco e Piero Neri sa certo dare risposte migliori.

Terza: quando la De Palacio nel Sancta Santorum della UE – che non dimentichiamoci, vuol metter becco su tutto, compresa la lunghezza dei cetrioli e lo standard dei condom – propose una liberalizzazione selvaggia dei costi del rimorchio, non furono le imprese italiane a sbarrarle la strada, ma quelle del nord Europa, patria del liberismo e dell’anti-monopolio, in nome della specializzazione e della sicurezza. Sarà anche una bella lobby, quella del rimorchio, e sarà anche giusto arrivare a valutarne la buona o cattiva capacità imprenditoriale (ancora il Gallanti pensiero espresso a Venezia) ma per favore non se ne faccia una questione da bar o da demagogia. Ci sono gli organismi tecnici addetti: e le guerre di religione tra categorie, o i giudizi tecnico-amministrativi da parte di chi si deve occupare di ben altri problemi (che ci sono: e sui quali qualche volta sembra di procedere con il passo del gambero) lasciamole per favore alla politica più deteriore. Che c’è anch’essa, come sappiamo tutti.

A.F.

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Pubblicato il
10 Marzo 2012

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