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Di Marco: la riforma

Le speranze, le delusioni e i suggerimenti per l’attesa modifica della 84/94 – Gli interventi a Ravenna

Galliano Di Marco

FERRARA – Il presidente dell’Autorità portuale di Ravenna ingegner Galliano Di Marco ha partecipato all’evento RemTech, sezione Coast Expo, anche come relatore. Abbiamo colto l’opportunità per parlare con lui del suo intervento e degli avanzamenti delle opere nel suo porto che viene definito “esempio virtuoso”.
Presidente Di Marco, un riassunto del suo intervento per i nostri lettori.
“Siamo qui perché questa è la fiera nazionale più importante nel settore dragaggi ed in questo momento per Ravenna questo tema è di grande interesse dato che stiamo scavando. Nella mia relazione ho presentato il progetto del porto di Ravenna, cioè il progetto CIPE, ed il piano straordinario di sviluppo definitivo che abbiamo varato 6 mesi fa.
[hidepost]Verso quest’ultimo ci siamo impegnati al massimo per coordinare tutte le competenze ed autorità necessarie per rendere attuabili le operazioni riuscendo a lavorare anche nel pieno della stagione turistica ed ora siamo nella fase conclusiva. Il nostro scalo ha due aree in mezzo al mare di 30 ettari circa per il deposito dei sedimenti utilizzate solo in minima parte nel 2005/2006. La competenza di queste aree negli ultimi anni è stata trasferita dal ministero dell’Ambiente alle Regioni e così, dalle analisi che abbiamo svolto, sia in avamporto e dentro le dighe foranee attraverso Arpa Emilia Romagna, sia nelle aree a mare che stiamo oggi completando attraverso l’opera della sezione specializzata nelle analisi marine di Arpa, è emersa la compatibilità di questi due tipi di materiali. A questo punto, attraverso una conferenza di servizi convocata come da legge 84/94 – a dimostrazione che questa norma mette a disposizione di chi li vuole usare gli strumenti necessari per lavorare – dopo l’analisi di tutta la documentazione che abbiamo prodotto, abbiamo avuto il parere positivo e le indicazioni di Arpa di come e dove depositare il materiale escavato. Tutto si è svolto senza problemi, e, nonostante le istanze di accesso agli atti di qualcuno mosso da preoccupazioni ambientaliste, l’esame degli stessi, perfettamente redatti nel rispetto delle regole, non ha prodotto stop. In questi giorni avremo una seconda conferenza di servizi per dragare e depositare in altra area ulteriori 300mila metri cubi circa e, infine, dovremo scavare anche dove le analisi non sono compatibili con il deposito a mare; per questi tipi di sedimenti dobbiamo predisporre una piccola cassa di colmata da circa 200mila metri cubi a terra.
“Il nostro obiettivo è quello di avere tutti i nostri canali dragati fino alla profondità di meno 11/11,5 metri quando inizieremo i lavori per il Grande Progetto. Un progetto questo che dal punto di vista finanziario grazie a due anni e mezzo di efficienza ed attenzione al recupero crediti che hanno fatto salire il nostro avanzo primario di cassa da 4,7 milioni ai 31 milioni attuali, con i finanziamenti CIPE e BEI, dispone in totale di 211 milioni di euro. In questa condizione a metà ottobre andremo al CIPE e non appena avremo la sua approvazione partiremo con il bando internazionale; se tutto procede come deve saremo in grado di iniziare i lavori nel luglio 2015”.
Ci sono molte indicazioni, che provengono da più parti, per la prossima riforma portuale. Qual’è la sua posizione?
“Il problema è che non si capisce più chi è deputato alla gestione di questa materia. Io mi confronto con Debora Serracchiani. Ritengo che lo “Sblocca Italia” sia una grande occasione perduta e se questo governo non riuscirà a fare questa riforma dei porti dubito a questo punto che mai l’avremo. L’articolo 29 è una buona base di partenza in quanto rappresenta uno dei principi fondamentali che noi avevamo chiesto: il Governo centrale si riappropria della chiave degli investimenti e viene fatto un piano nazionale per decidere le diverse – realistiche – specializzazioni delle attività dei porti, questo è poi bene che venga vagliato da un ente terzo ed attendibile che potrebbe essere individuato anche nella BEI. Basta con le autonomie dei porti, occorre una visione strategica centralista per evitare follie e sperperi. Altro punto fondamentale nel mio modello di sviluppo è lo sdoganamento delle merci. Occorre qui un coordinamento dell’Autorità portuale per gestire i 18 enti indispensabili per queste operazioni. Il ministero delle Infrastrutture deve imporsi su quello della Sanità per il coordinamento dello sdoganamento in mare per far si che a livello territoriale gli enti della Sanità marittima seguano le direttive dell’Autorità portuale di riferimento. Siamo ancora lontanissimi dai livelli di efficienza dei porti olandesi ma anche da quelli degli altri paesi. Il terzo punto – che manca nelle proposte attuali – è l’intermodalità ferroviaria: l’obbiettivo è che perlomeno un 40% delle merci che escono dai porti italiani prosegua su treno; per questo va profondamente riformata Trenitalia Cargo. L’unica strada che intravedo è quella dei contributi pubblici alle aziende per evitare che inevitabilmente si ricorra alla gomma, ad oggi ben più economica (1/3 del costo su treno): un esempio realizzato è quanto avviene fra la Regione Friuli e la Alpe Adria SpA. Altrimenti che si abbia il coraggio di cambiare rotta e si finanzino unicamente i trasporti su gomma, ma a partire dall’Europa. Sono inoltre contrario all’autonomia finanziaria ed all’1% dell’iva alle Autorità portuali così come è oggi congegnata poiché la distribuzione di questa risorsa è illogica e rappresenta uno sperpero. Ritengo che debba essere distribuita una somma equivalente da parte del CIPE a soggetti che, sulla base dell’art. 29, vengono definiti come “utili per la logistica italiana”.
Riguardo la spinosa decisione sul numero delle Autorità?
“Sono per una radicale diminuzione delle Autorità portuali, in linea con l’Unione Europea che ha previsto 10 core ports (nei quali includo Civitavecchia) alle quali affiancherei Autorità portuali di livello regionale che possano contare su un bacino di un minimo annuo di 20 milioni di tonnellate di merci. Riguardo Ravenna: oggi raggiunge un traffico di 24 milioni di tonnellate e questo trend, continuando con i lavori di escavo, non potrà più fermarsi: già ora come merci totali abbiamo superato Venezia. Se l’Autorità portuale di Ravenna fosse una società quotata il valore del titolo sarebbe schizzato alle stelle. Ma ci sono anche altri importanti aspetti come il capitolo delle concessioni demaniali: Assiterminal ha ragione, i canoni demaniali sono troppo elevati e su questo il Governo deve intervenire; i dragaggi: abbiamo fatto un emendamento, molto criticato ma nel quale io invece credo moltissimo, che chiede di risolvere una volta per tutte dove mettere il materiale di risulta e di chiarire bene, dal punto di vista legislativo, quando esso è o non è rifiuto, perchè definitivamente si sappia se quello che si va a scavare è materiale da classificare dannoso ed a quel punto dove sia possibile destinarlo; evidentemente la differenza è enorme se la regola impone di smaltire all’estero o se è possibile diversa soluzione a minor costo. Non potremo mai procedere con economia fin quando questi tecnicismi non siano stati affrontati e chiariti una volta per tutte”.
Dal suo punto di vista: come e da chi dovrebbero essere gestite le Authorities?
“Penso ad una trasformazione in società pubblica ma con un CEO nominato dal Governo e non dalle Regioni più 5 consiglieri super partes al posto dei comitati portuali per non lasciare spazio ai conflitti di interesse, quindi una composizione di questo tipo: presidente dell’Autorità portuale, presidente della Regione, sindaco, un rappresentante del Mit ed uno del Mef. Un modello che si avvicina a quello americano dove vediamo anche la Port Authority di New York gestire nel suo territorio le banchine, i tunnel ed i ponti che portano a Manhattan i 5 aeroporti ed altri asset infrastrutturali e finanziarsi tratte ferroviarie attraverso l’aumento del pedaggio sulle sue strade; un esempio che in Italia regioni come il Friuli potrebbero essere pronte a seguire”.
Assoporti e le dimissioni del vostro porto, è possibile un ripensamento e quindi un rientro?
“Credo nell’associazionismo ma bisogna essere fattivi. Negli anni precedenti ho dovuto presentare ricorsi autonomamente sul finanziamento dei porti e sulla legge 78/2010 perché Assoporti non agiva. Se oggi Pasqualino Monti con l’attuale struttura riesce a raggiungere l’obbiettivo che ha espresso nel suo recente comunicato in materia di riforma portuale e che rappresenta quello che da due anni sto chiedendo alla sua associazione, sono disposto a rientrare.
“Non c’è più tempo, i porti del mediterraneo, più competitivi, premono, e senza una riforma radicale i porti italiani sono destinati a morire”.
Cinzia Garofoli

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Pubblicato il
27 Settembre 2014

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