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Punti di forza e carenze dello scalo labronico

Dalla splendida posizione strategica al “flop” della prima vasca di colmata – La flessibilità che si è persa e la lentezza dei lavori – Il “sistema” con lo scalo di Piombino

Fiorenzo Milani

LIVORNO – Fiorenzo «Cino» Milani, conosciuto e stimato pilota del porto di Livorno, già presidente del Propeller club e promotore della realizzazione della Madonna dei Popoli, da quasi un anno è vice direttore generale della Federazione nazionale dei piloti a Roma. Chiara Domenici per il giornale della diocesi labronica l’ha intervistato sul futuro di Livorno e dei traffici portuali. Riprendiamo l’intervista ringraziandone la collega e lo stesso Milani.
Capitano Milani, un anno fuori di Livorno, ma sempre con gli occhi sui porti e sulle esigenze degli operatori portuali. Riesce a farci un quadro della situazione livornese? Cosa c’è di positivo? Cosa manca e cosa dovrebbe esserci per renderlo più funzionale?
[hidepost]«Si effettivamente oramai è quasi un anno che da pilota del porto di Livorno, sono diventato un burocrate romano, e sinceramente continuo a sentirmi più a mio agio nei panni del pilota! Chiaramente, continuo ad interessarmi di Livorno e del suo porto, leggo quotidianamente la rassegna stampa locale, e vivo con un certo trasporto tutte le vicende che riguardano la mia città.
Cosa c’è di positivo nel nostro porto: quello che il Signore ci ha dato e che nessuno ci potrà togliere: una posizione geografica strategica, uno sconfinato entroterra o retro porto, dei fondali che per circa tre miglia si mantengono sui dieci metri, tutto questo vuol dire che abbiamo possibilità di espansione, sia verso mare che verso terra e che se avessimo un porto in grado di accogliere le navi di nuova generazione potremmo veramente diventare il primo scalo del Mediterraneo.
Cosa manca: tutti dicono che la legge 84/94 è stata innovativa per i porti, probabilmente si, ma non è tutto oro quel che luccica! Cerco di parlare in maniera semplice, in quanto credo che i lettori non siano tutti esperti del settore. Nel porto manca la flessibilità di una volta, il porto si adattava al cambiamento dei traffici ed alle dimensioni delle navi. Faccio un esempio: appena iniziarono a solcare i mari le nuove full containers (navi porta contenitori), Livorno come tutti gli altri porti non era attrezzato per poterle ricevere. Italo Piccini decise di far costruire due gru all’alto fondale e le navi della ZIM entravano prua dentro a quell’ormeggio, Livorno, in poco tempo, divenne il primo porto del Mediterraneo nella movimentazione dei containers. Oggi, se ci fosse ancora un porto gestito così, costruiremmo quattro gru al Molo Italia, e potremmo tranquillamente ormeggiare le nuove generazioni di navi porta contenitori. Purtroppo questo non si può più fare, ogni banchina fa capo ad un terminalista, ed il porto è praticamente ingessato dal punto di vista gestionale.
Manca, una politica nazionale che permetta di dragare i porti (a similitudine di quanto avviene in tutta Europa) con dei costi relativamente contenuti. A Livorno oggi abbiamo la prima vasca di colmata, piena di fanghi, che non può essere utilizzata neanche come piazzale, in quanto per poterla utilizzare andrebbe palancolata, ma palancolarla comporta sfondare le guaine protettive applicate sul fondo, in pratica è inutilizzabile. La seconda invece, nata senza ripetere – spero – gli sbagli della prima, appena completata potrà essere usata almeno come piazzale. In tutti i casi non è possibile spendere tutti questi soldi (soprattutto in un momento di crisi) per delle regole che ci siamo inventati solo noi in Italia.
Altro problema sono le gare d’appalto per i lavori pubblici: per poter tener fede a tutte le normative anti mafia, anti corruzione e quant’altro, da noi succede spesso che chi vince l’appalto draga con paletta e secchiello, con tempi di realizzazione delle opere biblici. Nel resto dell’Europa realizzano in un mese quello che noi realizziamo in un anno.
Capacità di attrarre capitali stranieri. Per poter far sì che imprenditori stranieri investano nel nostro porto, ci vorrebbe una certa velocità burocratica, la certezza del compimento delle opere per le quali è stato fatto l’investimento, una serie di agevolazioni fiscali che permettano di preferire il nostro paese e il nostro porto. Tanto per parlare di qualche cosa a noi molto vicina, il rigassificatore costruito da noi, nel Mare del Nord, sarebbe costato molto ma molto meno, addirittura a Brindisi la BP esasperata, ha rinunciato a costruirlo dopo aver investito svariati milioni di euro».
Quali sono secondo lei i primi passi da mettere in atto per riportarlo ad essere competitivo?
«Oggi, il nostro porto è chiamato a fare delle scelte coraggiose, perché la politica del prendiamo tutto e non accontentiamo nessuno non paga più. Per anni abbiamo pensato che le navi da crociera fossero obbligate a venire a Livorno, i fatti ci dimostrano che non è così, e queste navi rendono alla città, sia economicamente che come posti di lavoro, solo se sei in grado di creare delle strutture ricettive adeguate. Se avessi la bacchetta magica, farei subito un’enorme stazione marittima, ed in pochi anni, vista la vicinanza dell’aeroporto di Pisa, Livorno diventerebbe porto capolinea per diverse compagnie di navigazione, sviluppando così anche il settore alberghiero e della ristorazione. Livorno potrebbe avere tranquillamente le stesse navi da crociera di Venezia, Napoli, Civitavecchia, parlo di circa mille navi all’anno, rispetto alle 450 attuali.
Potremmo diventare il primo porto per il traffico di cellulosa, ma bisognerebbe dedicare banchine e magazzini a questo tipo di traffico. Il traffico traghetti, resta sicuramente primario, sia per gli storici contatti con Corsica e Sardegna, sia perché potremmo diventare uno dei primi porti di collegamento con il Nord Africa.
Il traffico contenitori è quello più sacrificato, in quanto le navi porta contenitori di ultima generazione sono troppo grandi per poter scalare il nostro porto, dovremmo quindi accontentarci degli attuali standard, in attesa di costruire la Darsena Europa.
In pratica, a Livorno non mancherebbero i traffici, mancano in realtà le banchine, ed allora in attesa di avere questa benedetta Darsena Europa dobbiamo cercare di mantenere e possibilmente incrementare quello che abbiamo».
Si è parlato di impossibilità di rimettere in funzione il bacino grande di carenaggio… qual è la sua opinione in merito?
«Io penso che in un porto di serie A, e credo che Livorno sia un porto di serie A, sia indispensabile avere un grande bacino di carenaggio. Questo bacino, che tanto bistrattiamo, ce lo invidiano un po’ tutti, armatori italiani hanno contribuito economicamente alla costruzione di quello di Marsiglia pur di averne uno. La scelta di far morire le riparazioni navali a Livorno è purtroppo solo una scelta politica, non economica».
Traffico passeggeri e traffico commerciale: possono convivere? In che modo?
«Traffico passeggeri e traffici commerciali, possono tranquillamente convivere in un porto, come: basta vedere come facciamo a Livorno e poi fare l’opposto! A parte la battuta, basterebbe separare le due cose, ma come ho detto prima a Livorno non mancano i traffici, in realtà mancano le banchine, per questo siamo costretti a mantenere traffici, con i passeggeri che sbarcano in mezzo al minerale o ai contenitori, per questo appena gli viene offerta un’alternativa le navi se ne vanno».
Piombino… così vicina e così lontana… è una ricchezza o un intralcio per Livorno?
«Piombino, per noi rappresenta il futuro, io spero che i due porti possano essere accorpati sotto la stessa Autorità Portuale, Piombino tra poco avrà banchine con fondali a 20 mt., dove poter ormeggiare quelle navi porta contenitori che da noi non possono entrare. Non vedo il porto di Piombino come un potenziale rivale, ma eventualmente come una parte di uno stesso progetto. Per me Piombino rappresenta una possibilità da sfruttare».
Si cammina a passi lenti e circoscritti a zone singole, sembra mancare una progettualità, secondo lei, c’è speranza?
«Io cerco sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, non è mia abitudine cercare colpevoli, anche perché non serve a niente, fino ad oggi non è che non c’è stato un progetto, è che di questo progetto si è realizzato solo quanto ci è stato permesso di fare, lottando con una burocrazia infinita, con dei vincoli spaventosi, che portano a compimento un progetto quando oramai è troppo vecchio e rischia di non servire più!! E’ tutto troppo lento!! In Italia e a Livorno in particolare, credo che fondamentalmente serva questo, da anni si parla delle famose porte Vinciane, ogni anno il porto perde mezzo metro di fondale, tutti conoscono la causa, niente cambia! Questo penso che possa essere l’esempio calzante per tutti i nostri problemi! In porto non serve un politico: in porto serve fondamentalmente un tecnico che poi riesca a dialogare con i politici per affrontare e risolvere i problemi».
Chiara Domenici

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Pubblicato il
26 Novembre 2014

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