Sulle terne il certificato di livornesità?
LIVORNO – Toh, il primo commento potrebbe essere: chi s’impiccia di chi? E in realtà, commenti di questo tipo sono arrivati dopo che il vicario del vescovo di Livorno, monsignor Paolo Razzauti, ha “postato” su Facebook che per la presidenza dell’Autorità portuale ci vorrebbe un livornese vero (o una livornese, è stata l’immediata interpretazione dei più).
[hidepost]Raccontano le cronache che la sua nota ha avuto subito un centinaio di “Mi piace”, compreso quello – ovviamente scontato, vista la sua scelta – del sindaco Filippo Nogarin. Ma fuori dal web, anche tanti: “Che c’azzacca?”
Conosco Paolo Razzauti da quand’era ragazzino, lo considero un uomo intelligente anche se di carattere non sempre facile, e non sono di quelli che vogliono ingabbiare i sacerdoti nelle cose della Chiesa, punto e basta. Del resto, il vescovo Simone Giusti – che non è livornese, ma pisano – fa anche l’architetto, perché no il suo vice non dovrebbe occuparsi della politica livornese? Però è il concetto di “livornesità” che, così com’è stato espresso da monsignor Razzauti, mi lascia perplesso. Il presule cita, come esempi di livornesità costruttiva Tito Neri, Gaetano D’Alesio, Italo Piccini, Cesare Fremura, Nicola Badaloni, una buona parte dei quali diventati livornesi, ma non certo di antico sangue locale. Certo che è un dettaglio, certo che la livornesità richiesta da don Razzauti si conquista con l’impegno per la città e non certo con il certificato di nascita: ma come don Razzauti sa bene, perché potremmo citare decine di livornesi diventati grandi non certo per essere nati qui, Livorno è nata – leggi livornine – per I non livornesi, vera città cosmopolita ante-litteram.
Ma allora? Scrive ancora testualmente il presule: “Non abbiamo bisogno di arroganti e presuntuosi, ma di persone che abbiano voglia di sporcarsi le mani e rinascere. Io sono disponibile, e con me tanti altri”.
Che Razzauti fosse disponibile sulle tematiche sociali della città lo sapevamo da tempo. Che adesso sia disponibile anche per una eventuale presidenza dell’Autorità portuale è – ovviamente – un’interpretazione forzata, una boutade: ma c’è chi ci si è subito divertito. Il problema che il vicario del vescovo pone mi sembra invece un altro, molto serio: a Livorno e sul porto “c’è bisogno di lottare, non per litigare, ma per costruire, per ritrovare il bene comune”. Giusto, bravo don Paolo. Solo che il “post” su Facebook è sembrato, più che un richiamo a scelte comuni e a comuni lotte, l’indicazione di una preferenza per la presidenza dell’Authority basata solo sul certificato di nascita. Il che ha fatto, indipendentemente dai meriti della sottintesa, pensar male a qualcuno: e a pensar male – diceva un grande – si fa peccato ma spesso s’azzecca.
Antonio Fulvi
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