Brutta storia che è partita da lontano
LIVORNO – Messaggi di solidarietà, il solito sciopero di protesta, un incrociarsi di sospetti e di accuse: quando si verifica una tragedia come quella del bacino Mediterraneo, il sincero dolore per le vittime è alla fine la punta dell’iceberg.
[hidepost]E il pur doveroso rinvio dei giudizi alle indagini degli enti preposti non frena certo il correre dei dubbi. Il dubbio sull’efficienza dell’impianto, sull’adeguatezza delle “taccate”, sulla correttezza della manovra, sullo stato della nave, sulla liceità o meno del permanere a bordo di tanto personale proprio durante la manovra, eccetera. Dalle foto si vede bene che la nave oceanografica aveva ancora molti lavori in corso (impalcature in coperta). E la morte del povero elettricista, come il grave ferimento degli altri addetti, sembra confermato sia dovuta a materiali provvisori a bordo per i lavori, non d’ordinaria dotazione dell’Urania. Insomma, tante cose da appurare.
Tanti, come detto, i messaggi di cordoglio. Il presidente Giuliano Gallanti, assieme al segretario generale, Massimo Provinciali, e a tutti i dipendenti dell’Autorità portuale di Livorno, ha voluto “unirsi al dolore delle famiglie dei marittimi coinvolti nel terribile incidente in una sciagura che colpisce al cuore la comunità portuale livornese e nazionale. Ora aspettiamo – ha detto Gallanti – con ansia di conoscere l’esito delle inchieste in corso».
«Incidenti simili – ha aggiunto – non devono più ripetersi. Per questo motivo l’Apl, di concerto con gli organi istituzionalmente preposti, intensificherà i controlli già fino ad oggi eseguiti al fine di garantire l’esecuzione delle lavorazioni a bordo e a terra al massimo della sicurezza». Lapalissiano, diremmo: anche perché nel nome della sicurezza l’Authority ha sempre speso molto impegno, sia a parole sia anche con i fatti.
Qualcosa però, a monte del tragico incidente, lascia almeno perplessi. Ci si chiede come un importante servizio come quello dei bacini di carenaggio di Livorno sia rimasto per anni ed anni in una specie di limbo di responsabilità: il bacino grande lasciato degradare a livello di una inutile darsena, con tutti o quasi gli impianti (compresa la barca/porta) fuori uso per sempre; il bacino galleggiante collaudato a metà dopo anni ed anni di sofferenze (non si è trovata una nave adatta al massimo collaudo: segno che c’è stato probabilmente anche un errore di progetto nelle misure), costruito a pezzi e bocconi durante l’agonia del cantiere Orlando, a lungo al centro di polemiche sulla sua ubicazione definitiva, sulla sua destinazione, sulle manutenzioni straordinarie, persino sulla sua esistenza.
Niente che possa far attribuire la tragedia a qualche specifica inadempienza, almeno al momento. Ma è certo che a una storia travagliata, di sospetti sprechi e con qualche ombra (la stessa gara si è dovuta fermare per poter “ricreare” le documentazioni necessarie alla manutenzione e ai funzionamenti che non si trovavano più) il peso di tanto sangue non giova. Sperando almeno che da oggi tutto venga definitivamente chiarito e si possa tornare a credere in strutture portuali non abbandonate per conflitti burocratici o di competenze, ma rimesse in funzione al meglio in nome delle esigenze di lavoro e di credibilità del porto.
Antonio Fulvi
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