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“Se andar per mare è leggenda…” (Tonino Chiesa e i recuperi marittimi)

Storia di una famiglia ma anche di un mestiere leggendario – Dai risicatori ai salvataggi navali fino alla tradizione della lavorazione del corallo

LIVORNO – Il sangue non è acqua, dicono i vecchi proverbi: e una città nata relativamente tardi per la storia italiana – nel 1600, quindi una città giovane – per di più con il “peccato originale” delle leggi livornine che davano garanzia d’impunità a quasi tutti purché vi si trasferissero, non può che avere una storia costellata di grandi avventure e grandi avventurieri. Nacque la leggenda (che poi non è stata tanto leggendaria…) del “Se vuoi fare quello che vuoi, vai a Livorno”, con il corollario: “La legge a Livorno vale un giorno”. Altro che grida manzoniane: come scrisse con la sua consueta verve ben documentata Oriana Fallaci nel suo “Un cappello pieno di ciliegie” (libro che consiglio a tutti coloro che desiderano conoscere la Livorno ottocentesca, i suoi profumi e il suo modo di vivere), Livorno era un mondo di cappa e spada. O almeno, di coltelli, vele e salmastro.
[hidepost]Lunga premessa, d’accordo. Ma vale la pena anche per ricordare la mostra curata dalla Fondazione Antonicelli nel Palazzo del Portuale (24 marzo – 7 aprile 1984) dal titolo “Se andar per mare è leggenda…”, sottotitolo ancora più esplicativo: “Tonino Chiesa e i recuperi marittimi a Livorno”. E rilanciare il ricordo di personaggi che fecero l’epopea portuale livornese, proprio nell’anniversario della fondazione della città, 19 marzo 1606, allora definita “ideale”.
I Chiesa, scrisse allora nella presentazione della mostra Paolo E. Fornaciari “sono una famiglia marinara”, arrivata da Recco nell’ottocento e subito ben integrata. Antonio Chiesa, detto Tonino, entrò presto nella band of brothers (detto alla Nelson) dei risicatori, che andavano a bordo delle navi in arrivo sul porto già al largo dalle dighe per conquistare il diritto di scaricarle. Storia e leggenda si confondono, come spesso accade. Il Chiesa fu anche tra i primi, all’inizio del novecento, a tentare moderne forme di organizzazione cooperativistica per regolamentare il lavoro e diminuire gli atti di … pirateria tra risicatori e facchini. Un suo consorzio, creato alla vigilia della nascita del Pci a Livorno, ebbe vita breve ma aveva lanciato il seme. E poi Tonino era un marinaio d’abbordaggio: fu quasi naturale per lui cominciare anche un lavoro di salvataggio e recupero di navi e navicelle nei frequenti naufragi del tempo, fino ad armare uno dei primi rimorchiatori. Lunga storia, che sfocia nella resistenza, nella nascita della Compagnia lavoratori portuali e infine nel germogliare di quel seme dei rimorchi e dei salvataggi che fu poi coltivato e fatto crescere dalla famiglia di Tito Neri.
La bella mostra, ricca di fotografie e con didascalie di altrettanto interesse, sui tanti salvataggi e sui metodi che si usavano allora rimane un evento anche oggi. Da ricordare che la storia dei risicatori e delle imprese di salvataggio si è incrociata più volte con quella dei corallari, che a Livorno avevano la loro tradizione. Per lunghi anni l’alto Tirreno fu un “pascolo” ricco per i corallari, che cercavano il tesoro rosso sia al largo della Meloria che alle secchie di Vada e lungo la costa orientale sarda, fino a spingersi sull’isola della Galite, a nord della Tunisia.
Una storia nella storia, questa dei coralli: che alcune intraprendenti famiglie (molte delle quali di origine ebrea) cominciarono a lavorare proprio a Livorno, fino ad inaugurare una tradizione che cedette solo dopo lunghi anni ad altri centri del sud Italia. Oggi c’è chi sul corallo livornese e la sua storia sta tentando con tenacia – e qualche delusione – di mettere su un piccolo ma ricco museo, possibilmente in Fortezza Vecchia. Maria Teresa Tallarico è una donna che non molla facilmente e a cicli alterni ci riprova. Noi, speriamo che se la cavi. E che questo museo della Livorno artigiana dell’arte corallina riesca davvero a regalarcelo.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
26 Marzo 2016

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