Tempo per la lettura: 2 minuti

Navi ONG, le opzioni

LIVORNO – “Uno Stato sovrano, com’è l’Italia, ha la facoltà di vietare l’ingresso nei propri porti a navi di nazionalità straniera per motivate questioni di sicurezza”. E’ quanto sottolinea uno dei marittimisti più noti d’Italia, l’avvocato Luciano Canepa, già presidente dell’Autorità portuale di Ancona e più volte in commissioni di studio delle normative internazionali facenti capo all’IMO (International Maritime Organization). Gli abbiamo chiesto un parere sul dibattito in corso in Europa sull’eventuale controllo agli sbarchi in Italia dei profughi raccolti dalle ONG davanti alla Libia.

[hidepost]

Ma anche quando queste navi hanno a bordo gente salvata in mare? “Il salvataggio della vita umana in mare è obbligatorio secondo le normative internazionali – chiarisce l’avvocato Canepa – ma niente e nessuno può imporre di sbarcare poi i naufraghi in un porto scelto dall’armatore o dal comandante della nave salvatrice, salvo non esistano a loro volta motivi comprovati di sopravvivenza”. In sostanza la Solas, ovvero la normativa dell’IMO che riguarda gli obblighi per il salvataggio della vita umana in mare, detta regole estremamente specifiche, che obbligano ogni nave o anche imbarcazione a fare di tutto per salvare vite umane in pericolo, salvo non diventi rischioso anche per i soccorritori: ma come specifica l’avvocato marittimista livornese, solo motivi di comprovata forza maggiore – tutti da valutare – possono imporre di sbarcare i naufraghi in un paese che non intende dare l’accesso alle navi salvatrici di altra nazionalità.

Per vietare questi accessi occorre un provvedimento legislativo, quale un decreto, da emanarsi dal ministero direttamente competente, che è quello degli interni. Una volta emanato, il decreto diventa vigente e deve essere rispettato e fatto rispettare sia dagli organi di polizia marittima – a partire dalla Guardia Costiera – sia dalle varie autorità portuali. Che peraltro – la legge, anche quella di riforma della portualità recentemente attuata, in questo è molto chiara – non hanno né compiti né poteri sui temi della sicurezza; essendo di pertinenza assoluta alle Capitanerie di porto e al loro braccio operativo in mare, la Guardia Costiera.

Il dibattito in corso sulle navi delle ONG sta naturalmente interessando anche le Autorità portuali di sistema, 15 in tutta Italia, subentrate da pochi mesi con la legge di riforma alle vecchie Autorità portuali. Attraverso la loro associazione, Assoporti, le Autorità portuali di sistema hanno aperto un dibattito interno per avviare un metodo operativo comune se e quando il governo decreterà. Anche il comando generale delle Capitanerie/Guardia costiera attende le decisioni del governo, essendo braccio operativo per la sicurezza a il salvataggio in mare. Le sue imbarcazioni e le recentissime navi SAR (Search and Rescue) partecipano attivamente alle operazioni dal canale di Sicilia all’Egeo e sono state di recente proposte da alcune forze politiche per il Nobel della pace. Per loro e per le navi di bandiera italiana ovviamente un eventuale decreto di blocco dei porti non varrebbe, come non varrebbe per le navi commerciali e militari nel rispetto dei trattati marittimi internazionali.

(A.F.)

[/hidepost]

Pubblicato il
12 Luglio 2017
Ultima modifica
18 Luglio 2017 - ora: 15:54

Potrebbe interessarti