Nei primi 100 porti containers chi cresce, chi perde e chi spera
LONDRA – “Containerisation”, il ciclico rapporto del Lloyd List è uscito in questi giorni con un corposo compendio sui primi 100 porti al mondo, e con l’analisi ragionata su ciascuno di essi.
Proviamo a sintetizzare alcuni dei dati del rapporto. Nei primi sei mesi del 2016 tra i primi dieci porti containers del mondo solo il coreano Busan (6° in classifica) e i cinesi Guagzhou (7°) e Quingdao (8°) hanno registrato una crescita dei traffici intorno al 4% mentre Ningbo (4°) e Tianjin sono cresciuti rispettivamente del 2,8% e dello 0,3%. Il porto con maggiori perdite è stato Hong Kong (5° in classifica) con -10,5% ma anche i due scali in testa, Shanghai e Singapore, hanno registrato perdite: il primo poco meno dell’1%, Singapore del 5,1%.
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Secondo il commento al report, Hong Kong è il porto che ha più pagato le sanzioni per l’Iran, mentre gli altri porti cinesi hanno risentito del rallentamento del trade mondiale. Da sottolineare che Busan è ormai sulla soglia dei 20 milioni di teu annui e sta sviluppando un ambizioso progetto per superare entro il 2020 anche Shanghai con i suoi 36 milioni di teu.
L’ultima classifica mondiale dei porti containers vede infatti Shanghai in testa con 36,535 milioni di teu seguita da Singapore (30.922.000) e Shenzhen con 24.204.000, Ningbo (20.620.000) e Hong Kong (20.114.000).
Il primo porto non asiatico è Dubai (15.592.000) in 9a posizione mentre il primo europeo è Rotterdam in 11a posizione con 12.235.000. Segue per l’Europa il porto belga Antwerp (9.654.000) in 14a posizione mentre scendendo nel Mediterraneo il primo porto containers è Valencia (4.615.000) in 30a posizione, seguito quasi in parità (4.515.000) da Algeciras, il primo in crescita del 3,9%, il secondo in calo dello 0,9%. Per arrivare ai porti italiani bisogna andare nella parte bassa della classifica. Gioia Tauro è in 64a posizione (2.547) con una drammatica perdita nel 2015 del 14,2% mentre il secondo porto italiano è Genova in 71a posizione con 2.243.000 teu in crescita del 3,2%. Per l’Italia nei top 100 ci si ferma qui.
E’ interessante registrare, tra i commenti che accompagnano l’analisi dei risultati porto per porto, quelli relativi alle speranze – o alle delusioni – che hanno accompagnato la crescita dimensionale delle navi, fino ai giganti da 20 mila teu ed oltre. Dopo il veloce innamoramento da parte dei più grandi armatori, le mega-full-containers sembrano essere oggi in fase di ripensamento. E i terminalisti si mostrano abbastanza prudenti nell’investire somme enormi per adeguare i propri scali alle dimensioni di questi bestioni. Per tutti vale il giudizio – riportato nello studio – di Cecilia Battistello, presidente di Contship Italia: “Le grandi navi non rappresentano una reale economia di scala per gli armatori finché non viaggiano ad almeno il 90% della loro potenzialità, il che non si verifica quasi mai”. Tranchant ma realistico. Tanto che alcuni dei giganti in questione sono già finiti in naftalina, forse aspettando tempi migliori.
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