Il Moby Prince e l’amm. Albanese
LIVORNO – Forse non dovrei scrivere queste righe. Saggezza vuole che non sia mai utile andarsi a cercare rogne: però, alla soglia degli ottant’anni di età, continuo a credere nella deontologia professionale. E quindi credo non solo legittimo ma giusto pubblicare integralmente la lettera che l’ammiraglio Sergio Albanese, comandante della Capitaneria di Livorno quando successe la tragedia del Moby Prince, mi ha personalmente inviato nei giorni scorsi. Una lettera che segue una serie di articoli che avevo pubblicato sul Telegrafo Con L’ammiraglio ebbi quotidianamente a che fare nelle concitate fasi del dopo tragedia, quando una scatenata coorte di inviati speciali chiedeva giornalmente notizie, spesso impossibili.
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Rivendico ai miei servizi giornalistici di allora, e a quelli scritti sul Telegrafo pochi giorni fa, l’aver tentato di chiarire – sulla base delle realtà d’allora – perché il Moby Prince non fu immediatamente cercato dopo l’incendio dell’Agip Abruzzo e le disperate richieste di aiuto della petroliera. Rimango convinto che se errori ci furono – e con una tragedia del genere errori certamente ci sono stati – furono tutti in buonafede. Tutti i protagonisti, lo ricordo bene, cercarono di dare il meglio. Fu una tragedia con tante e tali variabili che, come a volte accade, si cumularono per rendere il quadro generale confuso e contraddittorio. Oggi la commissione parlamentare d’inchiesta sopraggiunge, a 26 anni dalla sciagura, ipotizzando responsabilità che però la stessa Corte di Cassazione – a mio parere assai più credibile – aveva escluso. L’ammiraglio Albanese, nella lettera che segue, difende l’operato dei soccorritori e pone anche qualche amaro dubbio sulle testimonianze raccolte dalla commissione parlamentare: comprese quelle non accolte, malgrado lui le avesse suggerite. Non mi pronuncio oltre: aspetto il filmato che mi ha inviato, non voglio né posso dare giudizi. Avrei solo sperato che i morti venissero finalmente lasciati in pace. Ma sembra che in questo nostro Paese certo revisionismo non rispetti nemmeno loro.
Antonio Fulvi
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Egregio direttore, gli anni passano ma le buone conoscenze non si dimenticano. Recentemente sul Telegrafo ho letto un Suo intervento sulle ultime novità di quel fatale disastro. E con gratitudine ho avvertito un senso di solidarietà nel ricordare che quando la Capitaneria venne allertata per l’incendio a bordo della Mc. Agip Abruzzo lo scrivente era fuori sede e precisamente in viaggio di ritorno dalla Spezia, ove avevo partecipato con la consorte, su invito del Comandante in Capo, ad un cocktail di commiato del titolare di quel Dipartimento Marittimo. Giunsi in porto alle ore 23,00 e assunsi il controllo della emergenza imbarcandomi sulla seconda CP per portarmi in zona delle operazioni spinto soprattutto dalle notizie lacunose e frammentarie che pervenivano via radio: lo speronamento da parte di una nave, forse una bettolina, sulla fiancata della motocisterna; la mancanza di visibilità nella zona per fitti banchi di nebbia che poi giunsero in porto verso le 23,15 mentre si usciva dalla bocca sud; difficoltà di individuare il punto di ancoraggio dell’Agip Abruzzo, malgrado le dimensioni e la illuminazione della nave; la presenza in rada di altre navi con merci pericolose, ecc.
Senonché la Commissione d’Inchiesta Senatoriale – secondo una personale constatazione – al fine di escludere le evidenti responsabilità del Comando del traghetto – argomento mai trattato – nel corso di questi due anni ha tentato di escludere l’arrivo della nebbia, fenomeno che sin dall’inizio venne affiancato all’errore umano; ma limitandosi a concedere a mala pena una scarsa visibilità dovuta al fumo dell’incendio, così eliminando ogni giustificazione sul ritardo sotto bordo dei mezzi soccorritori e sulla individuazione del Moby Prince dopo un’ora e 20’ dal sinistro. Malgrado l’uscita tempestiva dal porto di tutte le unità previste dal piano antincendio. Non conosco il contenuto della relazione finale, se non alcuni cenni preannunciati dalla stampa. Per riversare le colpe della tragedia sui soccorritori anziché affermare che “nessuno sentì e trovò” il traghetto in fiamme, viene capziosamente affermato che “nessuno cercò” il Moby Prince. Avendo avvertito la perversa strategia ebbi occasione più volte di chiedere formalmente alla Commissione di interrogare gli equipaggi dei 3 (tre) motopescherecci che quella sera erano nei pressi dell’Agip Abruzzo. Mai ascoltato. Nell’ultima udienza si è preferito audire un tale che, confondendo la motocisterna Agip Napoli (ancorata innanzi al comprensorio dell’Accademia Navale) con l’Agip Abruzzo (ancorata al traverso di Antignano) ha sostenuto che dalla terrazza di casa ubicata nei pressi dei bagni Pancaldi, vedeva membri dell’equipaggio che correvano sulla coperta in maglietta a maniche corte, oltre a proferire altre scriteriate amenità a carico della Capitaneria.
Dottor Fulvi, indipendentemente dalle numerose motivazioni in punto di fatto (la incandescenza delle lamiere, la limitata sopravvivenza delle persone imbarcate, le insormontabili difficoltà dell’abbordaggio, ecc. ecc.) e di diritto (la esclusiva competenza dei VV.F. in materia di incendi specie su navi dislocate in ambito portuale) giusto parere del Consiglio di Stato, che escludono ogni responsabilità della Capitaneria, Le sto spedendo con plico postale un filmato composto da spezzoni di alcune trasmissioni Rai di quei giorni dal quale si evince pacificamente l’applicazione tombale della locuzione ad impossibilia nemo tenetur. Il CD della durata di 40’ è stato tempo fa inoltrato alla Commissione a mezzo raccomandata a.r. senza ricevere però alcun riscontro o riferimento nel corso delle successive audienze. Con vive cordialità. Amm. Sergio Albanese.
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