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Yemayà, aiutaci tu!

ROMA – Permettetemi di scherzarci un po’ sopra: il che alla fine, come diceva il poeta (“Castigat ridendo mores”) forse ci aiuta a digerire certe amarezze di un’impasse nazionale davvero pericolosa. Lo scherzo? L’appello a Yemayà, divinità del mare secondo la Macumba, madre di tutte le cose che si riferiscono all’acqua secondo la Santerìa brasiliana e cubana. Yemayà – come molti ricordano – è una specie di Madonna venerata dagli schiavi neri che strappati dalle loro terre africane furono costretti ad abbandonare i loro idoli per la religione cattolica. Che si rivestì, appunto, di simboli nuovi con la Santerìa. Il loro motto, sintetizzato poi dal poeta Alvarez, fu: “Que tu quieres que te den?”, ovvero cosa chiedi che ti sia dato?

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Noi, a Yemayà, ci potremmo accontentare di chiedere oggi un governo nazionale capace di governare. Oppure, in subordinata ipotesi, un miracolo anche minore: che si vada a completare quella riforma dei porti che stenta a diventare totalmente operativa, eliminando anche quelle storture che i primi mesi di applicazione hanno dimostrato non rispondere alle esigenze.

Vogliamo elencarne qualcuna? Cominciamo da Assoporti: la “secessione” delle Autorità siciliane, cominciata con il “Niet” di Annunziata e oggi seguita dall’altro “niet” pesante, quello di Monti (Palermo) è sintomo di un malessere che sarebbe semplicistico definire come una ripicca tra presidenti. Bisogna chiarirsi, a questo punto, su quale debba essere la vera “mission” di Assoporti: in un quadro nazionale di “governance” complicato da una conferenza nazionale dei presidenti dei porti con il ministro (poche riunioni, per ora produzione zero) e da una serie di commissioni di fatto ancora vergini o quasi, è il prestigio personale di D’Agostino per ora a fare da collante. Poco altro, anche se ci sono stati i suoi interventi (come nell’assemblea di Livorno) che hanno puntualizzato l’esigenza di stimolare il governo (o chi per esso…) a intervenire a Bruxelles sul tema delle concessioni considerate aiuto di Stato.

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Se poi ci si cala nelle realtà locali dei “sistemi” si scoprono altri problemi. Per esempio, che i comitati di gestione sono, di fatto, assai poco gestionali e molto condizionanti. Un esempio: dei 5 membri di un comitato X, uno è il presidente, un altro è il comandante della direzione marittima ma di fatto impossibilitato a intervenire se non sui temi della sicurezza, uno rappresenta la Regione e spesso sa poco del “sistema” porto: infine due sono nominati dai sindaci. In pratica, in quattro deliberano: e basta che i due sindaci non accettino le linee dettate da Roma dal ministro (succede spesso) perchè tutto s’inchiodi. E’ una patologia incurabile? Non si può nemmeno dire che la fretta ha fatto i gattini ciechi, perchè sulla riforma e sui comitati di gestione ci hanno ponzato sopra anni. Dalla governance oggi sono escluse le categorie operative, e può anche essere comprensibile in quanto portatrici di interessi diretti. Ma per altri versi, l’impressione è che si sia caduti dalla padella alla brace.

E allora? Allora,Yemayà, mettici una pezza, se puoi.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
9 Maggio 2018
Ultima modifica
15 Maggio 2018 - ora: 09:42

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