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Microfibre: “Per il mare ogni lavaggio è una tortura”

ROMA – Un’altra battaglia in difesa del mare è quella che sta partendo con il significativo titolo: #stopmicrofibre. Lo scopo è sensibilizzare sul problema delle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrice. Com’è noto, le microplastiche sono ormai ovunque: al primo posto i frammenti liberati dai tessuti, tra i più diffusi nell’ambiente marino. Un solo carico, infatti, produce milioni di microfibre di dimensioni inferiori ai 5 mm che si riversano in mare dove vengono ingerite dagli organismi marini, entrando così nella catena alimentare.

La campagna di sensibilizzazione, realizzata da Metaphora del gruppo Alphaomega, è stata lanciata “perché quella delle microfibre rilasciate da tessuti è un’altra emergenza da non sottovalutare – spiega Raffaella Giugni, responsabile relazioni istituzionali di Marevivo -. È indispensabile investire sulla ricerca e l’innovazione del settore tessile e migliorare il trattamento delle acque reflue. Chiediamo alle aziende di progettare sistemi di filtraggio più efficaci per lavatrici e, a tutti, di ridurre quanto più possibile gli acquisti, di riciclare e riusare”.

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Secondo il team dell’università di Plymouth, Regno Unito – che per un anno ha analizzato ciò che accadeva quando i materiali sintetici venivano lavati a temperature diverse, tra i 30 e i 40 gradi, con differenti combinazioni di detergenti – ogni ciclo rilascerebbe circa 700.000 fibre di microscopiche particelle. Il 40% delle microfibre non viene trattenuto dagli impianti di trattamento e finisce nell’ambiente. Una città come Berlino, ad esempio, ne rilascia ogni giorno una quantità equivalente a 540.000 buste di plastica.

L’acrilico, nello specifico, è uno dei tessuti peggiori, cinque volte in più del tessuto misto cotone-poliestere. È quanto emerso dallo studio “Evaluation of microplastic release caused by textile washing processes of synthetic fabrics” De Falco, F., et al., pubblicato su  Environmental Pollution (2017) secondo cui un solo carico di 5 kg di materiale in poliestere produce tra i 6 e i 17,7 milioni di microfibre. Queste ultime, inoltre, sono sempre più spesso trovate negli organismi filtratori acquatici come mitili e ostriche, ma anche nello stomaco di pesci ed uccelli marini, nei sedimenti, nel sale da cucina e nell’acqua in bottiglia. Lo ha dimostrato il recente studio pubblicato da Orb Media che ha denunciato come negli Stati Uniti il 94% dei campioni d’acqua esaminati siano contaminati dalla presenza di fibre di plastica.

Nondimeno, una volta entrati nell’ecosistema marino, i microframmenti nocivi iniziano ad assorbire sostanze inquinanti e tossiche e vengono ingeriti dagli organismi che li scambiano per cibo; si accumulano nei tessuti in concentrazioni sempre crescenti via via che si sale nella catena alimentare (bioaccumulo o biomagnificazioni) fino a raggiungere potenzialmente l’uomo.

Una ricerca della Ellen Mc Arthur Foundation dimostra che ogni secondo l’equivalente di un camion della spazzatura pieno di indumenti viene gettato via, causando non solo una perdita economica ma anche il rilascio nell’ambiente di miliardi di microfibre. Bisognerebbe, allora, usare più a lungo i capi acquistati, riciclarli correttamente e, come suggerisce lo studio del CNR di Biella, effettuare lavaggi usando programmi a basse temperature, detergenti liquidi e una velocità della centrifuga ridotta.

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Pubblicato il
22 Dicembre 2018

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