Bruno Lenzi, l’eternità della gogna
Caro direttore, sono Bruno Lenzi, già presidente della Porto 2000, commissario in porto e considerato, ai miei tempi, un esperto di logistica ed operazioni portuali. Non la faccio lunga perché i tuoi lettori certamente mi conoscono. E conoscono anche l’odissea giudiziaria che io e la mia famiglia ci siamo tirati addosso. E che dopo oltre dieci anni ancora continua. Non voglio pensare a quanto potrà continuare se una volta tanto un magistrato non vorrà prendere in considerazione quanto il mio attuale avvocato difensore, Luca Cianferoni di Firenze, da tempo sostiene.
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Ho fatto di mia mano, per ricostruire la mia vicenda giudiziaria ma anche per disperazione non potendo fare altro, una cartella che ormai raccoglie più di cento pagine. C’è la storia di una persona perbene, come mi considero, finita in una rete di accuse che hanno distrutto non solo la mia immagine ma anche la mia vita pubblica e quella della mia famiglia. Un tempo avevo anche la passione per l’arte che mi aveva portato a creare una collezione di quadri che mi è stata tolta, a mio parere ingiustamente. In questi tempi sto lottando proprio con Cianferoni in sede civile per farmeli restituire o almeno – visto che alcuni sarebbero introvabili – per farmi riconoscere in una corretta transazione il loro valore.
Vorrei descriverti, caro direttore, tutte le mortificazioni, gli attacchi, le cattiverie che mi sono piovute addosso. Capisco che non è materia del tuo (una volta nostro) giornale. Anzi, mi scuso per lo sfogo. Ma vorrei che i tuoi lettori sapessero che sono una persona perbene. Sarò stato a volte ingenuo o superficiale, ma mai né ladro né farabutto. Credimi. E grazie se lo ricorderai con qualche riga.
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Bruno Lenzi è stato, come ricorda lui stesso, un componente di quella ristretta cerchia di dirigenti nell’ambito del porto di Livorno che un tempo furono rispettati e anche osannati, finiti poi nella polvere delle inchieste giudiziarie, delle condanne tra tanti corsi e ricorsi. Una storia quasi infinita perché è ancora in atto e rappresenta, per i tempi, la conferma che in questo nostro povero Paese spesso la magistratura ha tali vincoli, lacci e laccioli che anche dove c’è la massima buona volontà i processi possono trascinarsi all’infinito. Distruggendo colpevoli, ma qualche volta anche innocenti. Non vogliamo né possiamo entrare nel merito di processi e sentenze: come dice la abusata formula, abbiamo fiducia nella magistratura. I politici invece parlano molto, e anche straparlano, di riforma della magistratura, partendo dai vertici e dalle cariche dei vertici. Si fanno d’oro con il caso Palamara eccetera. Ma forse dovremmo prima di tutto pensare ai tribunali, grandi e piccoli, al loro funzionamento, a tutto ciò che impedisce loro di fare sempre una giustizia giusta e specialmente veloce. Leggo che le cause civili in Italia possono durare addirittura tre o quattro lustri, un poco invidiabile record. Se questa è giustizia…
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