Visita il sito web
Tempo per la lettura: 2 minuti

La tragedia del vecchio “Nangaala”

Nella foto: Il sommergibile indonesiano “Nangaala” in una foto ufficiale.

BALI – L’ennesima tragedia del mare, che ha coinvolto il sommergibile indonesiano “Nangaala” la settimana scorsa, ha visto l’intervento massiccio – ma purtroppo inutile – di decine e decine di navi da soccorso: con tanto di “campane” da profondità, rover specializzati e super-idrofoni per captare eventuali segnali di sopravvivenza.

L’inchiesta della marina indonesiana chiarirà il perché della tragedia. Ma già adesso, sulla base dei dati disponibili, è vero che il sommergibile fosse troppo vecchio, poco revisionato e per di più sovraccarico (52 persone a bordo invece di 40). Nel corso dell’esercitazione cui partecipava, aveva chiesto il permesso – forse per un eccesso di fiducia del comandante – di scendere in profondità. Poi il silenzio definitivo.

Non ci sono dubbi che il vecchio battello sia colato a picco su un fondale di oltre 800 metri, quando la massima quota di collaudo fosse – a nave nuova – di 230 metri. Secondo gli studi internazionali, oltre i 200 metri di profondità le possibilità che un sommergibile possa sopravvivere a guasto sono minime. Probabilmente collana a picco lo scafo ha superato la profondità di massima resistenza ed è imploso, frantumandosi o comunque uccidendo all’istante l’equipaggio. Un salvataggio a quelle profondità, anche se qualche compartimento avesse resistito con alcuni superstiti, sarebbe stato comunque impossibile o quasi.

[hidepost]

Per un confronto, i media specializzati ricordano la tragedia del modernissimo sommergibile nucleare russo “Kursk” affondato per un’esplosione interna nel 2000 nel mare di Barens, in cui morirono i 118 membri dell’equipaggio, malgrado alcuni fossero sopravvissuti più ore in una cellula resistente. Il sottomarino era finito su un fondale di 105 metri mentre poteva resistere, se integro, fino a 600 metri: Ma le esplosioni interne avevano ucciso quasi tutti e bordo salvo un gruppetto di superstiti a poppa, che tuttavia non fu possibile raggiungere in tempo. Solo 5 giorni dopo un batiscafo norvegese riuscì ad agganciare il relitto e fu possibile accertare che non c’erano superstiti: quelli che si erano salvati a poppa erano morti quando era finito l’ossigeno.

[/hidepost]

Pubblicato il
1 Maggio 2021

Potrebbe interessarti

Il neo-kompanjia Stachanov

Il kompanjia Aleksej Stachanov in confronto era, come si dice da noi, uno scansafatiche: cioè robetta. Perché oggi l’avvocato Matteo Paroli copre in contemporanea due cariche da far tremare le vene ai polsi. È...

Leggi ancora

Per la guerra per la pace

C’è qualcosa di nuovo oggi nel cielo. No, non è l’aquilone della poesia di Giovanni Pascoli, quella che noi anziani dovevamo studiare a scuola. Il qualcosa di nuovo sono i droni: diventati in poco...

Leggi ancora

Tasse e governi

C’è la stagione di tutte le cose e di tutte le passioni. Questa d’oggi, per dirla come lo scrittore americano John Steinbeck, è quella “del nostro scontento”. Scontento? Noi del ceto medio siamo ancora una...

Leggi ancora

Hic sunt leones

Può anche darsi che, come spesso accade, l’allarme lanciato ai primi del mese dall’ammiraglio Enrico Credendino risponda anche all’altro celebre detto latino  Pro Domo Sua, riferito come noto a Cicerone. Però il capo di...

Leggi ancora

Uno scavalco che non scavalca mai

Se ne parla con comprensibile pudore: anche lo “scavalco” ferroviario tanto atteso e tanto sbandierato tra l’interporto Vespucci e le banchine di Livorno, finisce nell’elenco delle speranze deluse: almeno per i tempi. Scriveva Silvia...

Leggi ancora

Quando Berta filava

Non c’è niente da ridere: semmai da capire perché altre realtà portuali, in particolare non nazionali, ci stanno surclassando sia come adeguamento di strutture e fondali, sia come traffici. E fa male al cuore ricordare che fummo, con...

Leggi ancora
Quaderni
Archivio