Mazara, davvero la grande pesca muore?
Ci manda un accorato messaggio dalla Sicilia un lettore di Trapani, F.R. su un servizio apparso di recente sul magazine “National Geographic Italia”:
Sono un vecchio pescatore siciliano, che a Mazara del Vallo ha operato anni ed anni sul peschereccio Domenica Madre fino alle coste della Tunisia, sul Mammellone e a Sud di Lampedusa. Ora mi limito a riparare qualche tramaglio o filaccione e sogno i tempi passati. Ma mi ha turbato l’articolo che un amico mi ha ritagliato da un mensile, in cui si parla di definitivo crollo della grande pesca nel canale di Sicilia, ironizzando sugli ex sterminatori di pescispada con le spadare che oggi devono contentarsi dei gamberi di fondo. Ma davvero siamo ridotti così?
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“National Geographic Italia” in effetti ha dedicato parecchie pagine del suo numero di settembre al crollo della grande pesca di Mazara del Vallo, un tempo capitale italiana – e non solo siciliana – con centinaia di barche d’altura. I motivi sono molteplici: la vita disagiata per battute che durano meno 15 giorni, il sempre più violento intervento delle motovedette tunisine e specialmente libiche, con sequestri e maltrattamenti; ma anche l’effettiva concorrenza, sul pesce pregiato, degli allevamenti ittici, che riguardano addirittura tonni e pescispada. Caro amico pescatore, i tempi de “Il vecchio e il mare” di Hernest Hemingway sono passati da svariate decine d’anni: e conoscendo bene come si viveva sui pescherecci negli anni ’60 tra la Sicilia e la Tunisia, non c’è molto da rimpiangere. Accontentiamoci della vignetta, che elenca (per la corrosiva matita di Borroto Galbes) l’evoluzione sognata dai pescatori di una bella battuta in alto mare.
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