Sempre più allevamenti in mare aperto

MELBOURNE – 🗣 «Mentre gli impatti negativi di alcuni tipi di acquacoltura sono ben noti, possiamo usare l’acquacoltura come strumento per rallentarli o fermarli e aiutare a ripristinare gli ecosistemi che sono stati in gran parte persi nel corso dell’ultimo secolo», ha dichiarato 👤 Kathy Overton che ha guidato un gruppo di ricerca dell’università australiana di Melbourne.

Ogni anno milioni di tonnellate di pesci  🐠🐟🐡, gamberi 🦐, molluschi e alghe vengono allevati per scopi alimentari. Proprio da qui potrebbe derivare un beneficio ambientale, se l’acquacoltura viene gestita nel modo e nel posto giusto.

Ad esempio, le alghe e i molluschi allevati nelle acque costiere possono rimuovere i nutrienti in eccesso che derivano dal deflusso urbano o agricolo e ridurre la probabilità di fioriture di alghe tossiche che uccidono pesci e altri organismi acquatici.

In Italia l’acquacoltura sta prendendo piede con ottimi risultati sia sul medio e basso Tirreno, sia nello Ionio, in Sicilia e in Adriatico. Vengono allevati in particolare orate, spigole/branzini e cozze ma si sta tentando anche con il prezioso tonno rosso. In acqua dolce oltre a trote, salmoni, carpe e anche storioni la varietà  ancora maggiore.

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Perfino le associazioni ambientaliste stanno guardando alle tecniche di acquacoltura come a una possibilità per creare nuovi modi per ripristinare o conservare specie e habitat.

La più grande organizzazione mondiale per la conservazione della natura, The Nature Conservancy (TNC), ha deciso di impiegare l’acquacoltura come sistema per ripristinare gli ecosistemi marini danneggiati, a cominciare dalle barriere coralline che hanno un grande valore ecologico: sono habitat importanti per molte specie marine e migliorano la qualità dell’acqua.

Grazie all’acquacoltura è possibile ripristinare le popolazioni ittiche vulnerabili o in via di estinzione in tutto il mondo, “ripopolando” i pesci d’allevamento coltivati nei loro habitat.

I ricercatori hanno anche sollevato il problema degli acquari marini domestici, in cui sono presenti specie raccolte dalle barriere coralline. Per questo stanno sviluppando dei metodi per allevare anche specie e allentare la pressione sulle specie selvatiche. Bisogna però fare attenzione, concludono i ricercatori, al “Green washing” ovvero alle operazioni che sono falsamente green.

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