Se il mare si merita un Ministero

Luigi Merlo

LIVORNO – Questo che leggete dovrebbe essere il resoconto della serata di lunedì al Propeller livornese sul libro/proposta di Luigi Merlo per una riforma puntuale che riformi davvero: e che propone, sulle linee delle promesse dell’attuale governo, un Ministero del mare finalmente centrato sul tema, mettendo insieme le innumerevoli competenze che sono distribuite oggi, qualche volta con criteri del cavolo, tra vari ministeri.

Ho premesso che ”dovrebbe”: perché in realtà, con qualche giorno di riflessione, non posso fare a meno di una conclusione, di solito messa in fondo ai bla-bla-bla. La conclusione è che le fatiche di Sisifo erano un gioco rispetto a quello che il governo (un governo) dovrebbe fare per accorpare in un unico Ministero del mare tutte le competenze relative, oggi distribuite (lo ha ricordato dal lato del pubblico il marittime consultant Angelo Roma) tra ben 11 dicasteri. Perché missione quasi impossibile? Perché gli intrecci sono complessi: e perché ogni Ministero è aggrappato con le unghie e i denti ai propri poteri, tanto che a volte – parecchie volte – i processi si fermano non per difficoltà reali ma per i conflitti di competenza tra uffici. Abbiamo a che fare con uomini spesso sconosciuti, spesso di seconda linea, ma che esercitano nei fatti un potere immenso. Mollerebbero facilmente? Molleranno?

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Nella foto: Il dottor Merlo con l’ammiraglio Ribuffo.

Luigi Merlo, nel presentare il suo libro “Rivoluzionare la politica marittima italiana” ha usato a ragione una parola forte: rivoluzionare. Luigi non è uno di primissimo pelo, né uno che non conosce i meccanismi reali. Oggi è il titolare dei rapporti istituzionali per l’Italia del colosso MSC e presidente di Federlogistica: non poco. Ma ha mangiato pane e porti fin da ragazzo: come politico, come presidente dell’AdSP di Genova, come esperto, come assessore regionale, come presidente di Assoporti, come giornalista pubblicista, come analista. E dovrei aggiungere altro. È diplomatico quanto basta, ma si fa capire. La sua tesi è limpida. L’Italia è il suo mare, sia sul piano culturale che economico, logistico, anche politico: le guerre interne tra poteri frammentati sono una yattura, il governo deve accettare la sfida. Diplomatico, ma concreto. L’attesa riforma deve correggere le storture della prima, che pure non era male, e i tentativi falliti della riformina del 2016/7.

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