Rotta Artica, promessa o minaccia?

Nella foto: L’ASMS in crociera in Alaska.
LONDRA – Panta Rhei, diceva Eraclito, tutto trascorre: e all’inizio di un anno tutto nuovo come siamo, insieme alle speranze che l’anno bisestile si sia portato via il peggio del peggio (“anno bisesto, anno funesto”), lo sguardo va verso il futuro prossimo: verso il più prossimo dei futuri. E da più parti stanno richiamandoci all’avvicinarsi sempre di più dell’apertura di un vero e proprio corridoio logistico dell’Artico.
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Ci sono stati, anche negli anni scorsi, tentativi e addirittura annunci di aperture di rotte tra i ghiacci: Maersk per esempio già dal 2019 aveva aperto una linea sperimentale, i russi ci stanno lavorando intensamente per aggirare i tanti ukase dell’occidente sulla guerra in Ucraina, ma ci sono anche posizioni critiche, in particolare di MSC che mette in evidenza le ricadute pesanti per l’ambiente. Ancora oggi, malgrado i pericoli all’imboccatura del Mar Rosso, si preferisce il periplo dell’Africa alla rotta nord, sperando che torni un po’ di pace nel martoriato Middle East.
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Ma se la situazione si prolungasse, cosa potrebbe accadere ai sistemi economici che basano sulla logistica intercontinentale marittima una buona fetta della propria crescita? Nel corso del 2023 sono transitati per la rotta polare poco più di 36 milioni di tonnellate di merce: quota ridicola, in confronto con i numeri del Mediterraneo o dei porti del Northern Range. Ma la quota è sempre in crescita, anche per la spinta dei paesi più settentrionali. Nelle previsioni di Mosca, il 2024 doveva essere l’anno in cui la NSR avrebbe registrato quota 80 milioni di tonnellate di beni in passaggio. La guerra in Ukraina e gli altri conflitti hanno bloccato tutto, ma sempre più paesi e la stessa Unione Europea avevano e mantengono grandi piani di sviluppo per la logistica polare.
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La Shturman Ovtsyn è stata la prima petroliera a utilizzare il passaggio quest’anno. Una rotta sicuramente insolita per una tanker di queste dimensioni, che solitamente naviga tra Murmansk e il Golfo dell’Ob, ma che a fine giugno ha caricato ed ha raggiunto il porto cinese di Rizhao. La petroliera, ice class Arc-7, da oltre 41.000 tonnellate, imbarca 35.000 tonnellate di greggio. Un’altra nave, la Eduard Toll, nave cisterna di Gas Naturale Liquefatto (LNG) è stata invece la prima con questo carico a solcare la rotta nordica sempre quest’estate, anch’essa in direzione Est. Ha lasciato il porto di Sabetta il 21 giugno scorso, scortata dalla rompighiaccio nucleare “Sibir”. Poi ci sono le crociere: quelle sui fiordi della Scandinavia sono da tempo un must, alla caccia delle spettacolari aurore boreali, ma anche con il compito di “saggiare” la possibilità delle navi non rompighiaccio di spingersi sempre più a nord. Anche le compagnie di navigazione mediterranee puntano verso il circolo polare Artico (e alcune “saggiano” anche quello antartico) a conferma che non ci sono limiti sul mare.
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Ovviamente un’apertura “allargata” delle rotte polari avrebbe – e avrà – riflessi non graditi dai porti e dai paesi del Mediterraneo, che potrebbero essere tagliati fuori per motivi di tempi di navigazione più brevi. Ma sono preoccupazioni che gli specialisti considerano solo non determinanti: perché la riapertura totale e sicura di Suez non può mancare in tempi di pace recuperata – e le promesse di arrivarci da parte di Trump sono gradite anche dai suoi avversari globali, per i quali il trade e la logistica sono altrettanto importanti – e tra West ed East almeno per l’Europa e il nord Africa, quest’ultima altra frontiera di prossima valorizzazione-Suez rimane and strategica.
Può darsi dunque che ancora per un po’ sarà piacevole aspirare allo spettacolo delle aurore boreali, ma si parlerà della rotta polare solo come eccezione. Il Mediterraneo almeno lo spera.
(A.F.)
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