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LA SVOLTA DI TRUMP

Dazi-punizione non solo per le merci: anche per le navi

Confitarma: 52 miliardi di costi extra per castigare chi ha costruito in Cina parte della flotta

Confitarma è l’organizzazione degli armatori della galassia confindustriale: qui in occasione del Media Day

ROMA. Ammonta a una “montagna” di sovra-costi portuali l’impatto che sul trasporto marittimo mondiale minacciano di avere le misure della Casa Bianca sull’industria armatoriale: le simulazioni di impatto le stimano in una montagna che è un Everest: fino a 52 miliardi di dollari, «con ricadute dirette sulla competitività dell’industria marittima e manifatturiera europea». Il calcolo arriva da chi ha i “ferri” del mestiere: stiamo parlando di Confitarma, l’organizzazione di categoria degli armatori che sta nella galassia confindustriale, il cui ufficio studi ha prodotto una indagine dal titolo   “Possibili impatti dei dazi Usa sull’industria dello shipping italiano”, in risposta alle recenti conclusioni dell’indagine dell’Ustr, cioè l’Office of the United States Trade Representative (qui il link al dossier integrale di Confitarma)

Nell’identikit di come la Casa Bianca dell’era Trump vuol ridisegnare i propri rapporti con il resto del globo non ci sono solo i dazi sull’import di merci: c’è anche una sorta di “dazio-multa” sulle navi che toccano porti americani: si vuol castigare la Cina con un pesantissimo pedaggio che però non colpisce direttamente Pechino bensì le flotte di navi costruite in Cina.

In concreto, almeno a quanto è dato sapere sulla base di una prima istruttoria: la “punizione” non dovrebbe scattare se entra in un porto americano la tal nave costruita in cantieri cinesi. No, qualcosa di ben più allargato: qualunque nave appartenga all’intera flotta di armatori che posseggano anche soltanto una piccola quota di naviglio di fabbricazione cinese. Con una graduazione dell’importo in base alla percentuale di navi fabbricate in Cina: comunque cifre ingentissime, tant’è vero che Confitarma ricorda come, fra le misure ipotizzate dall’ufficio che collabora con Trump, vi siano ipotesi che arrivano fino al «milione e mezzo di dollari  per ogni scalo negli Stati Uniti di navi costruite in Cina o gestite da operatori con commesse in cantieri cinesi» (qui il link all’articolo dell’autorevole Shipping Italy sull’intenzione di Grimaldi di lasciare il mercato Usa).

Una delle tabelle pubblicate nel report di Confitarma

L’analisi di Confitarma mette l’accento su un elemento: più del 17% della flotta italiana è costruita in Cina. Non è tutto: si raggiunge «l’84% considerando solo le nuove costruzioni attualmente ordinate dall’armamento italiano e in consegna entro il 2028». Quali sono le tipologie di naviglio potenzialmente più a rischio di essere colpite da queste misure? Il report dell’organizzazione di categoria le elenca nell’ordine: «Le navi da carico secco, seguite da traghetti, chimichiere e petroliere».

Passando sotto la lente tre casi di studio, il dossier indica quali possono essere le concrete possibili ripercussioni per i consumatori – dall’una come dall’altra parte dell’Atlantico – a motivo dell’effetto negativo sulla domanda di importazioni degli Stati Uniti.

Gli Usa – dicono dal centro studi degli armatori confindustriali – sono partner strategico commerciale dell’Italia: «Il primo destinatario delle esportazioni dal nostro Paese al di fuori dell’Unione europea con oltre 63 miliardi di euro (di cui oltre il 60% viaggia via mare) e il secondo dopo la Cina per le importazioni nazionali con quasi 26 miliardi di euro (dei quali il 45% viaggia via mare). Da non dimenticare che, in termini di tonnellate di merci trasportate, «quasi il 100% delle importazioni e il 98,2% delle esportazioni italiane da e verso gli Usa  viaggia via mare».

Mauro Zucchelli

Pubblicato il
3 Aprile 2025
Ultima modifica
5 Aprile 2025 - ora: 01:08
di M.Z.

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