Lavoratori a tu per tu con l’intelligenza artificiale: la resa dei conti
Le distorsioni di «una novità che è già qui»: il convegno di Filt Cgil
LIVORNO. L’impatto dell’intelligenza artificiale potrebbe essere ben più radicale di una delle tante svolte tecnologiche con cui il capitale cerca di mettere ancor più nell’angolo la forza lavoro e, “strizzandola” come una spugna, estrarne ancor più produttività e profitto. Parte da questa consapevolezza Giuseppe Gucciardo, leader della Filt Cgil livornese, aprendo il convegno organizzato, con curiosa valenza simbolica, in una sorta di sotterraneo della Fortezza Vecchia per ragionare su un balzo in avanti che rischia di “strappare” il lavoro nei porti almeno per come l’abbiamo conosciuto.
«Con preciso intento – dice il dirigente sindacale – non ho introdotto temi quali: produttività, efficienza dinamica, gigantismo navale, automazione, digitalizzazione, integrazione dei processi logistico portuali, sicurezza nei luoghi di lavoro, salario e divario salariale fra uomini e donne»: insomma, niente del solito armamentario con cui un sindacato affronta di solito le questioni. L’ha fatto perché, a suo giudizio (e non solo suo), le domande da porsi devono scavare di più le questioni di base: «Segnatamente, quali equilibri sociali, quale redistribuzione della ricchezza, quale saldo occupazionale, quale salute e cura della società nel suo intero».
Che la questione esca dalle liturgie dei confronti fra soggetti sociali, lo si vede anche dal fatto che in apertura è stato chiamato a intervenire anche Nereo Marcucci, numero uno dell’Authority dal ’96 al 2004 e ora esponente della Confindustria territoriale guidata da Piero Neri. Intanto, una sottolineatura: riguarda l’ «ineliminabilità» delle attività fisiche nel lavoro portuale e logistico. E un’altra: anche l’organizzazione degli industriali ha affrontato al proprio interno la questione dell’intelligenza artificiale e ha rilevato una forte partecipazione, segno che anche il fronte degli imprenditori sente di aver bisogno di strumenti e riflessioni in questo campo. Marcucci, in nome della funzione sociale dell’impresa, apre a una discussione fra le parti sociali. E soprattutto, oltre a esprimere rilievi sul disegno di legge in gestazione nelle commissioni parlamentari, mette sul tavolo un aspetto: rendere operativi gli strumenti del ricambio generazionale.

Niek Stam, leader sindacale olandese e numero due del sindacato europeo dei trasporti Itf settore portualità
È utile ascoltare Niek Stam, leader sindacale olandese e numero due del sindacato europeo dei trasporti settore portualità. A differenza di Gucciardo, da ex operaio dei macelli punta a un approccio pragmatico che non equivale affatto a morbido: contrattare, contrattare, contrattare. Con una stella polare: «L’intelligenza artificiale deve andare a vantaggio anche dei lavoratori, non essere un regalo ai conti degli azionisti». Lo dice con una metafora efficace: «Ben venga la valutazione d’impatto ambientale per salvare qualche specie animale in via di estinzione, ma allora la “valutazione d’impatto” va fatta anche su quel che accade ai lavoratori». Il primo aspetto: nessuna automazione senza contrattazione. Il secondo: l’automazione rimpiazza spesso i posti di lavoro, ma i robot non pagano tasse e dunque alla lunga c’è calo di gettito fiscale e anche riduzione della domanda interna, questo va compensato in qualche modo se non vogliamo che l’automazione impoverisca lo stato sociale e la collettività. Il terzo: il lavoro degli addetti serve per “istruire” l’intelligenza artificiale e dunque gli operai ne sono come “mentori”, dunque questo è un lavoro che va fatto emergere e pagato.
Sotto quest’ultimo profilo Erik Maes e Glenn Mannien, sindacalisti in arrivo dal Belgio, la mettono giù più dura: «I lavoratori generano dati ma ne sono esclusi: è l’equivalente di un “omicidio” simbolico, e lo strumento diventa qualcosa di più che tecnologia: è architettura di controllo». E poi: «L’intelligenza artificiale rende più “intelligenti” i porti? Ma se i lavoratori non sono consultati, significa che sono solo scannerizzati. Se il sistema non è costruito “con” noi, allora è “contro” di noi».

Maciej Arcciuch, manager di Psa, interviene al convegno di Filt Cgil
Però negli interventi emerge anche il fatto che l’automazione non è questo ingranaggio così perfetto e omniscente che tutto sa e a tutto provvede con millimetrica precisione. Maes e Mannien portano il caso del porto neozelandese di Auckland che meno di dieci anni fa è stato al centro di una forte accelerazione nell’automazione. Risultato: anziché un balzo in avanti, ne ha fatti due indietro e il fallimento delle promesse high tech le hanno pagate i lavoratori. Costretti a un super-impegno per mettere le toppe al patatrac della tecnologia: produttività in picchiata, triplicato il numero di vittime e infortuni.
In questa direzione va anche la relazione della prof. Cristina Pronello (Politecnico di Torino): demolisce l’idea che quella dell’intelligenza artificiale sia una irresistibile avanzata, quasi una guerra-lampo destinata a travolgere ogni residua resistenza come fosse anticaglia da preistoria. Colpisce soprattutto su due bersagli grossi: 1) non è vero che si sta imponendo alla velocità della luce e fra brevissimo avrà conquistato tutto, se ne cominciò a parlare settant’anni fa e siamo ancora alla fase dell’infanzia; 2) non è vero che sia così affidabile, accurata e esatta, basti pensare alla guida autonoma. Unico reale passo in avanti, le manutenzioni predittive. Ma è sul terzo aspetto che la picconata è particolarmente tremenda: non è vero che abbia a disposizione una base infinita di dati attendibili.
La studiosa usa due casi cha ha affrontato personalmente: nell’analisi dei dati sulla mobilità non si hanno dati grezzi in quanto si capirebbe quel che molti sospettano e cioè che «tecnicamente questi big data sono spazzatura non utilizzabile». La riprova? In due studi sulla mobilità urbana: i dati raccolti puntualmente da ricercatori suonavano molto differenti da quelli rilevati per via informatica. Tradotto: abbiamo un enorme numero di dati ma spesso sono solo un caos inestricabile. La conseguenza è presto detto: cerchiamo di non essere noi a fare dell’intelligenza artificiale quel gigante invincibile che non è…
Più ottimista è invece Maciej Arcciuch, manager di Psa, che porta la sua esperienza formato multinazionale: «Più che guardare a rimpiazzare i lavoratori “umani”, a noi imprese interessa semmai che la tecnologia aumenti la potenzialità del lavoratore». Ma l’ultimo spicchio della mela potrebbe essere quello segnalato da Gaudenzio Parenti, direttore generale di Ancip: e non solo perché invita a guardare gli effetti dell’automazione fra i “colletti bianchi” anziché unicamente fra le tute blu operaie. «E se sulla base dell’intelligenza artificiale, qualcosa va storto o qualcuno si fa male: di chi è la responsabilità?».

La prof. Cristina Pronello, relatrice al convegno di Filt Cgi, è docente al Politecnico di Torino