Napoli, dai fumi delle navi record di aria inquinata sulla città
Le misurazioni (e la denuncia) di esponenti ecologisti
NAPOLI. La galassia ecologista lancia l’allarme riguardo alle «dense nuvole di fumi tossici» che «si formano ogni giorno sul porto di Napoli e si riversano sulla città». Lo dicono dopo aver effettuato l’11 maggio scorso un monitoraggio dell’aria a Calata di Porta Massa: l’hanno compiuto Axel Friedrich, esperto di inquinanti dell’aria; Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’aria; i componenti dell’associazione ambientalista tedesca Nabu. Nel mirino le concentrazioni degli inquinanti emessi dalle navi, «prevalentemente traghetti, ferme in porto a motori accesi»: polveri ultrafini, black carbon (una frazione del particolato) e biossido di azoto. Le misurazioni di quest’ultimo si rivelano «ampiamente superiori a quelli previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità».
A firmare la nota è “Cittadini per l’aria”, una realtà che fa parte di una rete di organizzazioni impegnate a livello europeo per la riduzione delle emissioni navali e l’adozione di un’area “Eca”. Da questo impegno insieme a tante associazioni e comitati locali si è sviluppata la rete nazionale “Facciamo respirare il Mediterraneo”. Gerometta indica che a Napoli la situazione è «gravissima» e che è un problema «che si verifica in tutti i porti italiani, non solo a Napoli».
Cosa dicono i dati raccolti dal fronte ecologista nella metropoli campana? La concentrazione media di black carbon misurata al molo dei traghetti, dalle ore 10 alle ore 15, – viene riferito – è stata di oltre 4700 ng/mc, con picchi di quasi 9000 ng/mc: «Livelli elevatissimi se si considera che le concentrazioni medie in condizioni di aria pulita sono di circa 300 ng/m³ e, quindi, 15 volte inferiore a quella media misurata a Napoli.
Le misurazioni effettuate in continuo con l’etilometro, lo strumento che misura il biossido di azoto, per oltre cinque ore, dalle ore 9 alle ore 14, indicano che in porto a Napoli, a pochi metri dagli uffici della Capitaneria di Porto, le concentrazioni medie di biossido di azoto sono state di 60 µg/mc, ovvero di circa «un quinto più elevate della concentrazione (50 µg/mc) che, in base alla nuova Direttiva Ue, non andrebbe superata sulle 24 ore più di 18 giorni all’anno e più che doppia di quella giornaliera (25 µg/m³) da non superarsi più di 3-4 volte all’anno, in base alle Linee Guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Salute».
Al contempo lo strumento ha misurato, verso mezzogiorno, picchi ripetuti di biossido di azoto di oltre 300 µg/mc, cioè – viene fatto rilevare – un terzo più elevati di quel limite orario di 200 µg/m³ che secondo l’Oms non va mai superato («e che in base alla nuova direttiva non deve essere superato più di tre volte all’anno»).
Quanto alle concentrazioni di polveri ultrafini (da 20 a 1000 nm di dimensione) misurate dal contatore di particelle utilizzato per oltre cinque ore (10-16), l’associazione ecologista informa che «hanno raggiunto livelli estremi verso le 12 con un livello di oltre 170.000 particelle/cm³, e per l’intero periodo di oltre 5 ore la media delle polveri ultrafini è stata di 14.080. «Le polveri ultrafini – viene sottolineato dai promotori dell’iniziativa – si depositano negli alveoli polmonari e vengono trasferite al sangue entrando così in circolo nel nostro organismo. Una buona qualità dell’aria contiene mediamente da 1.000 a 3000 particelle per cm³ ovvero circa 5 volte meno della media misurata quel giorno a Napoli».
“Cittadini per l’aria” ritiene che all’origine di tutto questo vi siano «probabilmente cause diverse riconducibili a negligenza degli armatori, come per la carente manutenzione dei motori, l’utilizzo di carburanti sporchi e il mancato utilizzo di filtri per il particolato e sistemi di abbattimento degli ossidi di azoto (Scr)» mentre, dal lato “pubblico”, si associa sicuramente al ritardo che «il nostro Paese sta accumulando nella predisposizione delle banchine elettrificate» che, per evitare ore di sosta in porto a motori accesi, consentirebbero di alimentarsi dalla rete elettrica delle banchine. Ma alle navi predisposte, e allora c’è da chiedersi: «Quali e quante lo sono in Italia?».
Gli ecologisti richiamano l’attenzione sulle particelle carboniose di black carbon (Bc), «un forzante climatico fino a 1.500 volte più potente della CO2 per unità di massa, che vengono emesse dalla combustione incompleta dei carburanti fossili». Vengono citati studi epidemiologici per indicare che sono «più pericolose per la salute umana rispetto ad altre componenti presenti nel Pm 2.5». La ricerca – viene messo in evidenza – indica che al black carbon si accompagnano normalmente «gli idrocarburi policiclici aromatici, noti e pericolosi cancerogeni per l’uomo», e che l’esposizione al black carbon a lungo termine «è associata all’aumento di mortalità per tutte le cause e cardiopolmonare». Senza contare che è «capace di oltrepassare la barriera placentare raggiungendo la parete verso il feto».
Riguardo al biossido di azoto, “Cittadini per l’aria” ricorda che «è un gas che deriva dalla combustione dei carburanti fossili, principalmente olio e diesel»: all’esposizione a lungo termine è associato «l’aumento di mortalità per tutte le cause, l’incidenza di asma nei bambini e eventi cardio respiratori». L’esposizione a breve termine a concentrazioni di NO2 superiori a 200 µg/mc – viene rimarcato – causa infiammazione delle vie respiratorie esponendo a infezioni respiratorie. L’NO2 può esacerbare i sintomi di chi già soffre di patologie polmonari o cardiache. La deposizione di composti chimici contenenti NOx nell’ambiente può causare «danni significativi agli habitat sensibili, aumentando le concentrazioni di azoto nel suolo o nell’acqua».
Infine, le polveri ultrafini: il report ecologista dice che «causano numerose malattie, da quelle cardiovascolari, all’incremento di asma e alla riduzione dell’attenzione e della memoria di lavoro nei bambini esposti». La ricerca indica, per esempio, che un incremento di 10.000 particelle ultrafini è «causa dell’incremento del 18% del rischio di incidenza di infarto e del 76% di quello di insufficienza cardiaca».