Addio a Donatella Francesconi, cronista di passione e di lotta
Dalla parte dei diritti e delle vittime della strage di Viareggio

La giornalista del Tirreno Donatella Francesconi, scomparsa a 64 anni
LIVORNO. Mozione d’ordine, signor presidente. Parlo per fatto personale: non lo faccio mai. Ma ora sì: perché nel pomeriggio di oggi 26 giugno ha smesso di battere il cuore generoso di Donatella Francesconi, cronista del “Tirreno”: giusto nell’anniversario della scomparsa di don Lorenzo Milani, un’altra testa dura come lei. Pronti entrambi a metterla in gioco e a rompersela se pensavano che questo potesse essere di giovamento a qualcuno di quei “dannati della terra” che avevano incrociato per strada o comunque sentivano che le/gli si erano affidati. E allora no, non è solo un fatto personale. Donatella avrebbe compiuto 64 anni fra un mese, lascia la figlia Rossana: a lei il nostro abbraccio dal nostro web di banchina.
La battaglia storica di Donatella Francesconi nella trincea del giornalismo locale è quella al fianco dei familiari delle vittime della strage di Viareggio, quasi mezzanotte di un’estate di sedici anni fa: per una incredibile coincidenza del destino, Donatella se n’è uscita di scena praticamente in contemporanea con l’anniversario di quell’incredibile incidente ferroviario costato la vita a 32 persone. Non è retorica dire che a quella battaglia aveva dedicato l’esistenza: per il modo con cui aveva seguito tutte le vicende successive le avevano assegnato il premio nazionale intitolato a una figura straordinaria come Federico Caffè con tanto di cerimonia fra gli arazzi di Montecitorio.
Era un «punto di riferimento per l’informazione in Versilia» e una «storica firma del Tirreno di Viareggio» (anche se a un certo punto l’avevano spedita a Massa suscitando una mobilitazione di lettori). Neanche la malattia ne aveva piegato la volontà: era rimasta in contatto con il “suo” mondo e speso segnalazioni e suggerimenti, dritte e consigli. Almeno finché le condizioni non si sono definitivamente aggravate in modo drammatico.
In realtà, dopo aver lavorato al “manifesto” ed essere stata responsabile del desk economico a “Liberazione”, era approdata al Tirreno ma in quel suo primo periodo – alla metà del primo decennio di questo secolo – l’aveva vissuta a Livorno, nella scrivania accanto alla mia. A occuparsi di scuola, ma poi non era mai soltanto di scuola: presto si era passati al sindacato e alle cronache del Palazzo, alle beghe degli strapuntini politici e al risiko dei potentati economici. Sarebbe cosa buona e giusta se le istituzioni, magari in uno dei tanti appuntamenti della vita di una amministrazione locale, volessero rendere omaggio all’abnegazione che, posso testimoniarlo, metteva nel mestiere. Già, perché non lo considerava un mestiere, un posto che semplicemente ti dà uno stipendio e chissene…
Forse il punto sta proprio lì: si considerava voce di qualcuno che non ce l’aveva, magari se l’era vista togliere. Non c’erano orari, se c’era da ascoltare un tizio in più, foss’anche nient’altro che l’ennesimo rompiscatole in servizio permanente effettivo. Sia chiaro, mica che fosse una madonnina infilzata da giaculatorie: se c’era da imbufalirsi, Donatella mica si tirava indietro. Ma il motivo era quello, e non era mai la voglia di scoop per farsi ganza e tirare i riflettori su sé stessa: era quella stramaledetta voglia di far sentire gli indifesi. Per giunta, senza limitarsi a passare un microfono e ciao: il giornalismo era l’intermediazione, ma nel senso che non puoi raccontarmi la prima panzana che ti salta in testa. Non è quello l’ascolto: quella è la cloaca, e chissà se in quest’ammalarsi non ci fosse anche la disillusione di vedere – un po’ come in Pasolini – le clssi popolari farsi disorientate, senza memoria ma con tanto rancore.
Bisognerebbe ripercorrere la carriera di Donatella, che prima di arrivare al Tirreno aveva già una storia di 300-400 articoli sulle pagine del “manifesto”, ed era quello di Luigi Pintor, Valentino Parlato e Riccardo Barenghi. Ne ho ricordato quando era stata premiata per lo straordinario lavoro sulla strage di Viareggio, ma non è mica da questi particolari che si vede un cronista: il passo devi avercelo sulla quotidianità, e Donatella aveva la qualità di trasformare ogni giornata in una possibilità di “esplorazione” delle pieghe della società, talvolta delle piegacce. Come quando, sulla base di informazioni confidenziali, aveva denunciato qualche tentativi di approccio delle cosche sull’economia versiliese. Come quando aveva raccontato la mobilitazione di Lucca con uno “sciopero della fame” a catena per veder riconosciuti i diritti di una famiglia marocchina finite nel ginepraio di provvedimenti di espulsione per immigrazione clandestina, paradossalmente con il regolare visto: l’aveva narrato in un libro edito da Ets.
La vedrete in questi giorni un po’ ovunque in foto in cui sembra mostrare un cipiglio perennemente arrabbiato. Vero, ma a metà: chi l’ha conosciuta sa bene l’allegria contagiosa, la risatona di Donatella. E allora la foto per ricordarti è quel sorriso quasi timido alla consegna del premio Caffè. Un sorriso, però: mi viene in soccorso Guccini:
Voglio però ricordarti com'eri Pensare che ancora vivi Voglio pensare che ancora mi ascolti Che come allora sorridi
Come quando le dicevi che aveva lo stesso giorno di compleanno del Duce e faceva lo stesso mestiere del Duce: figuriamoci, fra i “compagni di compleanno”, preferiva di sicuro Mikis Theodorakis, un “rosso antico” come lei ma anche un cuore d’artista che aveva messo in musica le parole di Alekos Panagulis e l’antico fascino del sirtaki. Addio Donatella, nessuna terra è mai lieve, lo siano questo canto, ovviamente di Theodorakis:
Addio, addio monti, parto e vado lontano per un lungo viaggio senza meta e senza nessun ritorno. Addio, addio monti, parto e vado lontano. Non ho avuto mai paura, non mi sono mai piegato e la vita ho sfidato. Ho pena solo per un cuore, soltanto per un cuore. Lui solo sentirà lo strazio dell'addio. Ho pena solo per un cuore, soltanto per un cuore.