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"COLD CASE" ASTROFISICO

Ecco come la Via Lattea ha “ucciso” un’altra galassia

Le “impronte” scoperte da due scienziate dell’università di Firenze

Una rappresentazione della “Via Lattea”

FIRENZE. Potrebbe essere un “cold case”. Anzi, “coldissimo”: la vittima è scomparsa dieci miliardi di anni fa, morta stecchita. Ma forse è un “case” fino a un certo punto, il colpevole l’hanno già individuato da tempo. È la “Via Lattea”, che ha fatto sparire una galassia più piccola, la “Gaia Enceladus”, con una sofisticata strategia di annientamento. Per non lasciare il dna sulla scena del crimine? Chissà, fatto sta che la galassia più piccola è stata fagocitata dalla galassia più grande attraendo a sé le stelle altrui. Più piccola e “nana”, ma si fa per dire: tant’è che il giornale dell’ateneo toscano ammette che doveva avere dimensioni «considerevoli» se è vero che questo inglobamento «ha provocato potenti destabilizzazioni all’interno della Via Lattea». Del resto, il riferimento a Enceladus la dice lunga: rappresenta «un gigante della mitologia greca, imprigionato sotto la Sicilia e responsabile dei terremoti e delle eruzioni dell’Etna».

A richiamare l’attenzione su questa strana storia di “assassinio galattico” è lo studio coordinato dall’ateneo fiorentino che, dopo esser stato pubblicato su “The Astrophysical Journal Letters”, è stato rilanciato con intenti divulgativi dal magazine dell’università di Firenze.

Da sinistra: la docente universitaria Asa Skúladóttir e la dottoranda Alice Mori

Ása Skúladóttir è la prima firmataria dell’articolo e nell’ateneo fiorentino insegna astrofisica, cosmologia e scienza dello spazio nel Dipartimento di fisica e astronomia: «Siamo riusciti a identificare stelle provenienti da Gaia-Enceladus depositate nella Via Lattea durante il suo primo passaggio e gli attraversamenti successivi», queste le sue parole: «Si tratta – afferma – di una scoperta importante per ricostruire l’evoluzione della nostra galassia. Non tutte le stelle che oggi vediamo nella Via Lattea si sono formate al suo interno: alcune sono nate appunto in galassie che la Via Lattea ha inglobato nel tempo e che successivamente si sono dissolte al suo interno».

Dunque, la piccola galassia “Gaia Enceladus” si è vista man mano prosciugare il suo patrimonio stellare: appartenevano a lei certe stelle «oggi sparse in tutta la Via Lattea», eppure identificabili «grazie alle loro impronte chimiche e cinematiche: sono uniche rispetto a quelle delle loro “vicine” nate in situ».

Gli studiosi del dipartimento fiorentino hanno analizzato lo spettro elettromagnetico di alcune stelle provenienti da “Gaia Enceladus” osservandone la composizione chimica, in particolare la presenza di alluminio, magnesio, bario e ferro», aggiunge Skúladóttir: «Sono questi gli elementi attraverso cui possiamo definire la galassia e la zona di nascita della stella: un’alta abbondanza di alluminio e magnesio indica che la stella si è formata in un’area vicina al centro della galassia. Un altro parametro che analizziamo è l’energia delle stelle, sia potenziale che cinetica. In questo caso vale il principio opposto: un più alto valore energetico è correlato a una stella più esterna del disco galattico».

Dall’incrocio di questi due dati si è visto che le stelle della “Via Lattea” erano differenti rispetto a quelle di  “Gaia Enceladus”. Il motivo? Riassumibile così: maggiore ricchezza di elementi e minore movimento. Tuttavia, è un’altra la particolarità dello studio condotto dall’équipe dell’Università di Firenze: le differenze sono anche all’interno delle stelle di “Gaia Enceladus”: tanto dal punto di vista chimico che sotto il profilo cinematico. Alice Mori, dottoranda in fisica e astronomia (Università di Firenze Inaf Osservatorio Astrofisico di Arcetri), spiega cosa significa: «Siamo di fronte a stelle che orbitavano in zone differenti, quindi sono state inglobate dalla “Via Lattea” in incontri diversi. La composizione di queste stelle – afferma – mostra come le prime a essere acquisite provenissero dalle regioni esterne di Gaia-Enceladus, meno evolute chimicamente, mentre quelle delle regioni più interne e più ricche di elementi chimici siano state catturate in passaggi successivi, quando a venire intaccate furono aree più centrali di “Gaia Enceladus”.

Le scienziate dell’università toscana sottolineano l’importanza dei risultati della loro indagine: «Sono un decisivo passo in avanti per conoscere la storia della nostra galassia. Prima sapevamo solo distinguere le stelle nate nella Via Lattea da quelle formatesi in altre galassie, senza però conoscere i dettagli precisi di questo processo. Inoltre poter utilizzare le proprietà chimiche e cinematiche delle stelle “rubate” da una galassia a un’altra ci permette di ricostruire in modo accurato i processi di crescita galattica che osserviamo ovunque nel cosmo, perché i processi di fusione tra galassie sono molto comuni nell’universo».

Pubblicato il
29 Giugno 2025
di BOB CREMONESI

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