Il mare nostrum non è mai stato così bollente
Greenpeace e Università di Genova: gli effetti di un’annata record

Greenpeace Italy monitora le condizioni dei fondali marini nell’isola di Gallinara
ROMA. L’anticiclone Pluto ci mette in questi giorni d’inizio estate sotto un’afa senza attenuanti generiche: calza dunque a pennello l’indagine condotta da Greenpeace Italia che denuncia come i nostri mari siano «sempre più caldi», tant’è che «nel 2024 si è raggiunto il record di temperature sia a livello globale sia nel bacino del Mediterraneo». Si moltiplicano anche «le ondate di calore, sia in superficie sia lungo la colonna d’acqua»: e questo significa che «le gorgonie mostrano segni di mortalità» e, al tempo stesso, «si diffondono le specie termofile e aliene che prediligono acque sempre più calde».
È questo quel che salta fuori dai dati del dossier relativo al 2024 che Greenpeace pubblica nell’ambito del progetto “Mare Caldo”: il report nasce in collaborazione con il Distav (Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita) dell’Università di Genova e l’Ogs (Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale). Obiettivo: aprire gli occhi sugli impatti della crisi climatica sulla biodiversità marina delle comunità di scogliera.
Prima di tutto c’è da tener presente il principale dato di contesto: «Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale»: la temperatura media dell’atmosfera è di «1,47 gradi al di sopra della media recente» (negli anni compresi fra il 1991 e la pandemia) e addirittura di quasi tre gradi (2,92°) al di sopra del livello preindustriale. Nella considerazioni conclusive si dice a muso duro che «si tratta di anomalie estremamente elevate che riflettono un riscaldamento climatico sempre più evidente anche a scala regionale».

I dati della temperatura media in giugno, giorno per giorno, sia quest’anno che nel 2004, con i dati di Seatemperature.info

Un sub di Greenpeace Italia esplora le profondità del mare al largo di Ventotene rilevando lo stato del corallo
Se poi vi sembrassero pochi tre gradi di differenza, è solo perché non avete fatto mente locale alla differenza che si percepisce nel regolare il condizionatore in casa o in ufficio, un divario del genere si sente eccome. Ecco, secondo i dati diffusi dal programma Copernicus e integrati con quelli raccolti nell’ambito del progetto “Mare Caldo in Italia”, – dice l’organizzazione ambientalista – «l’anno 2024 ha fatto registrare la temperatura media annuale più alta mai osservata» nelle acque del Mediterraneo. Più calda l’aria, più caldo il mare: con «un valore medio di 21,16°C e un’anomalia di 1,55 gradi rispetto al periodo di riferimento dal 1982 al 2015». Senza dimenticare che «i valori stagionali rilevati dai satelliti sono stati i più alti degli ultimi 43 anni».
Nelle 12 aree di studio italiane che partecipano al progetto “Mare Caldo”, e fra queste undici sono collocate in aree marine protette (Amp), i dati «sono coerenti». Da tradurre così: «Tutte le aree sono state interessate da numerose ondate di calore sia nella stagione estiva sia invernale, raggiungendo in più casi picchi massimi di oltre 2,5°C sopra la media climatologica». Ad esempio, il report indica che nell’area marina protetta dell’Isola dell’Asinara, in Sardegna, sono state registrate «ben 14 ondate di calore nella temperatura superficiale del mare», mentre in entrambe le aree marine protette di Portofino e delle Cinque Terre, in Liguria, «le ondate di calore sono state sei».
Questo grado e mezzo (1,55° C) in aumento è una media: «in alcuni casi hanno raggiunto picchi massimi di oltre due gradi e mezzo di differenza», viene sottolineato nelle conclusioni specificando che quest’impennata record è stata riscontrata anche all’isola d’Elba. Non solo: nell’area marina protetta delle Cinque Terre l’ondata di calore ha segnato «un valore massimo di 3,65 gradi» di differenza in «una delle ondate di calore più estreme osservate nell’area».

La temperatura media delle acque toscane secondo le rilevazioni rese note da Arpat
Va detto che queste anomalie termiche non riguardano solo la fascia più superficiale delle acque marine: in varie aree marine protette hanno “contagiato” anche profondità «fino a 40 metri sotto la superficie del mare» (e non si sa se questo limite è solo perché questa è la profondità massima a cui sono posizionati i termometri nella colonna d’acqua). In particolare, vale per le aree marine protette dell’Isola dell’Asinara, di Tavolara e di Plemmirio così come per l’Isola d’Elba.
Valentina Di Miccoli (Greenpeace Italia) non ci gira intorno: «I dati del 2024 confermano l’aumento graduale delle temperature di anno in anno, con valori così elevati mai registrati prima nel bacino del Mediterraneo». Effetti? «Il nostro mare è ricco di biodiversità, ma rischiamo di perdere questo straordinario patrimonio naturale se non estendiamo la superficie di mare protetta e non riduciamo le emissioni di gas serra».
A tal riguardo l’associazione ecologista segnala che lo scorso anno per il dossier “Mare Caldo” ha tenuto d’occhio anche alcuni aspetti biologici nelle aree marine protette di Tavolara Punta Coda Cavallo, Portofino, e Ventotene-Santo Stefano. Risultato: è emerso che a subire di più la sberla del cambiamento climatico sono le gorgonie (Eunicella cavolini e Paramuricea clavata). Presentano spesso «segni di necrosi e mortalità sulle loro colonie». Per dirne una: a Portofino è stato registrato «un impatto severo sul 94% delle colonie di Paramuricea clavata a 25 metri di profondità», si pensi che «in alcune zone la mucillagine copriva l’80% delle colonie». Non è tutto: a Tavolara e a Ventotene il corallo mediterraneo Cladocora caespitosa ha mostrato «un livello di sbiancamento severo».
La specie aliena termofila più abbondante nelle aree monitorate – dice Greenpeace – è risultata l’alga verde Caulerpa cylindracea, mentre tra i pesci termofili sono stati spesso osservati il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), il barracuda mediterraneo (Sphyraena viridensis), e la donzella pavonina (Thalassoma pavo).
Greenpeace utilizza anche il confronto fra i dati raccolti nell’arco dei cinque anni del progetto “Mare Caldo” per dire una cosa: l’area marina protetta di Capo Carbonara (Sardegna) mostra «i valori più elevati di stato ecologico»; al contrario, l’isola d’Elba, che è l’unica area non protetta della rete di monitoraggio, «presenta uno stato ecologico scarso». L’associazione ecologista ne trae una indicazione: si conferma l’effetto positivo che le aree marine protette hanno sulla biodiversità marina.
Monica Montefalcone, docente di ecologia dell’Università di Genova, tira le somme dei risultati del quinto anno del progetto “Mare Caldo”: sono la prova del nove che dimostrano «in maniera inconfutabile» gli effetti del cambiamento climatico sugli ambienti marini sommersi dei nostri mari. «Le numerose anomalie termiche rilevate in tutte le stazioni della rete e la presenza di evidenti segnali di impatto negli ecosistemi costieri delle aree monitorate – afferma – quest’anno sono indipendenti dalla loro localizzazione geografica, dalla diversa latitudine e dal diverso livello di conservazione».
Bob Cremonesi