Un’altra intelligenza artificiale è possibile, fuori dallo strapotere delle Big Tech
L’indagine di due studiosi (uno della Normale) valorizza la forma cooperativa

La sede della classe di scienze politico sociali alla- Scuola Normale Superiore a Firenze
FIRENZE. Quante volte ci siamo detti che, alla fin fine, nell’era del “capitalismo della sorveglianza” (cit. Shoshana Zuboff), l’intelligenza artificiale è un occhiuto nemico dal quale difendersi? Perché minaccia la nostra privacy; perché aumenta le discriminazioni anziché ridurle; perché mira principalmente a minimizzare il costo del lavoro e a estrarre valore da qualsiasi cosa gli capiti gratis a tiro. Del resto, se lo sviluppo indiscriminato dell’intelligenza artificiale è nelle mani di un ristretto gruppo di colossi aziendali e di una oligarchia di turbo-capitalisti ancora più esclusiva degli oligarchi russi che arraffarono il patrimonio statale nella Russia post-sovietica, poteva andare diversamente?
A provare a ribaltare il paradigma è una indagine di due studiosi: si tratta di Stefano Tortorici, dottorando in scienza politica e sociologia alla Scuola Normale Superiore (sede fiorentina di Palazzo Strozzi), e di Trebor Scholz, professore della New School di New York City e Berkman Klein University di Harvard. Il punto di partenza, come spiegano dal quartier generale dell’istituzione universitaria pisana d’eccellenza, è stata «una serie di piattaforme sviluppate da alcune cooperative in vari settori: dall’agricoltura alla medicina, fino al mondo dell’accademia». Fuori, cioè, dallo strapotere delle Big Tech, i grandi colossi riunificati sotto l’acronimo “Gafam” che in sigla indica Google, Apple, Facebook (ora Meta), Amazon e Microsoft.

Stefano Tortorici, lo studioso della Scuola Normale Superiore
In pratica, un «modello alternativo di intelligenza artificiale». In un articolo pubblicato dalla rivista “Harvard Business Review”, Tortorici e Scholz hanno passato ai raggi x «i vantaggi di questo tipo di strumenti suggerendo che è la ridiscussione e l’ampliamento della proprietà di questi sistemi l’elemento imprescindibile per una intelligenza artificiale etica e sostenibile». Insomma: un’altra intelligenza artificiale è possibile. Ma a patto che siano garantite cinque mosse-chiave:
- democratizzare la governance dei dati, «dando ai singoli il controllo su come vengono utilizzati quelli personali»;
- collegare la ricerca e la società civile, «basando i dibattiti sull’intelligenza artificiale sulle esigenze pubbliche, non sulle istituzioni d’élite»;
- promuovere la formazione per «fornire ai membri le conoscenze necessarie per influenzare i sistemi di intelligenza artificiale»;
- costruire modelli di proprietà alternativi per «mantenere la creazione di valore dell’intelligenza artificiale nelle mani degli stakeholder;
- adattare l’intelligenza artificiale a fini cooperativi, garantendo che «i sistemi supportino la solidarietà e il potere dei lavoratori».
Sotto la lente di Tortorici e Scholz, i programmi di intelligenza artificiale di cooperative quali «la Indian Farmers Fertiliser Cooperative Limited (per la fertilizzazione), l’olandese FrieslandCampina (controllo qualità dei prodotti lattiero-caseari) e neozelandese Fonterra (analisi della produzione di latte)». Non solo: alcune coop in ambito sanitario, «come la svizzera no-profit Midata o la spagnola SalusCoop», promuovono la governance partecipativa della gestione dei dati sanitari e favoriscono i cittadini nella diffusione delle informazioni mediche. È l’analisi di tutta questa galassia di realtà che, secondo i due studiosi, dimostrano come «la governance democratica e la proprietà condivisa potrebbero plasmare utilizzi della tecnologia più responsabili e incentrati sulla comunità».

Uno degli impianto di Friesland Campina, una delle più grandi coop lattiero-casearie al mondo: :13 miliardi di euro di ricavi
Dalla Normale si ricorda anche il riferimento a Read-Coop: è «una cooperativa accademica con 227 membri e organizzazioni, tra cui università, archivi nazionali, amministrazioni comunali e gruppi per la tutela del patrimonio culturale, in 30 paesi». Perché vi si indirizzano i riflettori? Viene richiamato il fatto che gestisce Transkribus: è una «piattaforma di apprendimento automatico per il riconoscimento di testi scritti a mano e la trascrizione di documenti, che ha elaborato oltre 90 milioni di immagini storiche e continua a crescere senza erigere “paywall” attorno alle sue funzionalità più preziose».
Tortorici è membro del Centro per lo Studio dei Movimenti Sociali (Cosmos) e “research affiliate” dell’Institute for the Cooperative Digital Economy (Icde) presso la New School di New York City. La sua ricerca esplora come «le cooperative di piattaforma affrontano le sfide legate al finanziamento e alla scalabilità». È fra gli organizzatori di due conferenze internazionali come “Countervailing Platform Power” (poche settimane fa a Firenze) e di “Cooperative AI” (in agenda in autunno a Istanbul). Ha alle spalle lauree in filosofia (Università di Torino) e in storia contemporanea (Università di Bologna), ha svolto attività di ricerca alla Vrije Universiteit di Amsterdam, all’Université Paris Nanterre e ll’Università di Milano-Bicocca. Ha contribuito a un’indagine collettiva sull’espansione di Amazon nella Pianura Padana e nei mesi scorsi ha svolto un periodo di ricerca all’Oxford Internet Institute collaborando con il team di Fairwork per «ampliare il loro framework di valutazione delle cooperative di piattaforma, integrando i principi cooperativi e valori politici nell’analisi delle condizioni di lavoro che riescono ad offrire».
«Sebbene le cooperative affrontino barriere in termini di dimensioni e risorse, queste strategie indicano un percorso più praticabile e inclusivo per l’intelligenza artificiale», dicono Tortorici e Scholz: «È l’azione collettiva, non la tecnologia, la vera soluzione a molte delle sfide dell’intelligenza artificiale. Inoltre, le cooperative possono svolgere un ruolo significativo nel determinare non solo cosa l’intelligenza artificiale dovrebbe fare, ma anche chi dovrebbe decidere, attraverso i cinque modi da noi individuati in questo studio».
Bob Cremonesi