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IL DOSSIER

L’incredibile girotondo dei container: ogni cento pieni 41 viaggiano vuoti

Senza merce il 72% dei contenitori in uscita dal porto di Los Angeles

SINGAPORE. Anche oggi o forse pure domani ogni cento container pieni a zonzo nei mari del mappamondo ogni cento container se ne contano 41 che viaggiano vuoti. La “fotografia” di questo periodo, mettendo nel calcolo il parametro dei teu e quello della distanza percorsa,  è che «per ogni 10 miglia di trasporto di un container pieno, adesso – viene sottolineato – è indispensabile spostare un container vuoto a 4,1 miglia». E questo, secondo quanto riferito del dossier di “Sea Intelligence”:

  • è «in netto aumento» rispetto all’era pre-Covid: nel 2019 le miglia erano “appena” 3,1 «prima degli scossoni subiti dal mercato a motivo della pandemia»
  • si registra una «tendenza crescente nell’arco del quinquennio» (tranne «un lieve calo temporaneo» nel 2022, come dice il report della società danese.

L’équipe di Copenhagen, quartier generale a un passo dal parco di Kløvermarken, ha preso “casa” anche a Singapore, nella “torre del centenario” con vista sulla pista di Formula Uno. E proprio “Splash 24/7”, giornale online singaporeano dedicato al mondo economico marittimo, ha fatto conoscere l’analisi del team danese (in Italy anche tramite “Shipping Italy”).

Tutti quanti parlano del «41% del trasporto di container [che] viaggiano vuoti». Difficile rettificare specialisti tanto autorevoli, però non è escluso che possa essere che capitato un quiproquo nel calcolo della percentuale. Per spiegarla in sintesi: 41 container che viaggiano vuoti ogni cento pieni vorrebbe dire che i vuoti sono il 41% di quelli pieni, non del totale. Nel complesso, invece, i container sono 141 e, dunque, è quella la cifra da mettere al denominatore: perciò la percentuale dei vuoti è circa il 29% del totale. Resta il fatto che l’analisi su scala planetaria della società danese parla di «crescente percentuale di container vuoti in giro per i mari del mondo».

Il giornale asiatico ha buon gioco a far mettere a uno spedizioniere (Acumen Freight Solutions) basato a Karachi, metropoli pakistana e porto da quasi due milioni e mezzo di teu. Tutto nasce dagli squilibri nei flussi del mercato globalizzato: ci sono regioni in cui l’export supera di gran lunga l’import e viceversa. Risultato: la merce arriva da un capo all’altro del mondo dentro un contenitore, poi però quel container resta lì – più o meno da quelle parti perché gli spazi portuali sono una risorsa limitata – e non c’è un carico da spedire in direzione inversa per ricominciare il giro. Risultato: ci sono porti (occidentali) che hanno tanto i piazzali quanto le statistiche pieni di contenitori vuoti mentre, a migliaia e migliaia di chilometri, ci sono porti (asiatici) che non sanno più dove trovare i contenitori da riempire.

Sia detto con cautela, ma alla fin fine questi contenitori vuoti sono un impiccio ma fanno comodo a tutti: hanno un loro geografia delle riallocazioni, dunque vengono reimbarcati e riposizionati; al tempo stesso, proprio questo gonfia quantomeno di un buon 20-25% gli indicatori di ciascun porto.

Questo andamento balza agli occhi guardando le cifre messe nero su bianco dal porto di Los Angeles, lo scalo numero uno negli Stati Uniti in fatto di traffico container. Sul lungo periodo: nella seconda metà degli anni ’90 era vuoto il 7,3% dei contenitori in arrivo e il 45,5% di quelli in partenza (dati calcolati nell’intero arco di tempo dal ’95 al 2000). Già allora era facile notare un certo squilibrio. Ma dal 2020 al 2024 il disallineamento si è fatto impressionante: il porto americano più importante ha talmente tanto import che sono giunti a banchina vuoti solo 118mila contenitori su quasi 26 milioni di teu in arrivo (0,4%), al contrario lo scalo losangelino ormai campa in buona misura con la ridislocazione dei vuoti, visto che le statistiche dell’ultimo quadriennio dichiarano vuoti 17,4 milioni di teu su un totale di 24 milioni  e spiccioli (il 72,3%).

Come dire: dalle banchine di Los Angeles, non di Poggioalmelo, su quattro container in uscita tre sono vuoti. Un caso singolo? Un porto che lui solo ha una Caporetto anche se è il numero uno? Vabbè, guardiamo quel che accade sulla costa opposta, quella atlantica: magari puntando sui dati della Port Authority of New York and New Jersey. La musica non è poi così diversa: nel 2024 l’insieme dei contenitori vuoti entrati o usciti dallo scalo della Grande Mela sono stati 2,9 milioni, il 33,4% del totale. Dieci anni fa c’era sì meno traffico ma i vuoti superavano a malapena quota 1,7 milioni ed non arrivavano al 28%, tre anni prima erano il 22,3%. E c’è dell’altro: per capire la forza del sistema produttivo che sta dietro un porto bisogna guardare l’export. Parlano le cifre: nel 2012 i contenitori vuoti in partenza da New York/New Jersey erano il 43% del totale, nel 2015 avviene il sorpasso e i vuoto superano i pieni (55,6%), nel 2024 sono il 68%. Non è un problema di Los Angeles o di New York, è il problema degli Stato Uniti.

Questi i fondamentali dell’economia che sono dietro gli atteggiamenti da smargiasso di Trump: eccezion fatta per le produzioni di tecnologia avanzata (principalmente farmaceutica, informatica e armi) più finanza ultraderivata e colossi del web, la qualità industriale degli Stati Uniti è in condizioni che ricorderebbero l’Urss di Eltsin se alle spalle non avesse mezzo secolo di egemonia mondiale, prima che la loro stessa niomenklatura economico-finanziaria inventasse il mix di globalizzazione (dei commerci) e delocalizzazione (delle industrie).

Riguarda solo Los Angeles e tutt’al più gli scali all’ombra del ciuffo di The Donald? No, si guardi Trieste, per dirne uno: nella prima metà di quest’anno si sono contati quasi 99mila teu di “scatoloni” vuoti, il 25,7% del totale. Un pochino di più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (25,4%) ma assai di più di cosa accadeva prima dell’emergenza coronavirus: si arrivava a malapena a 90mila teu di vuoti in tutto il 2015, il 18,1% dell’insieme del traffico container di dieci anni fa.

Livorno, per dirne un’altra. Nei dodici mesi del 2024 sono transitati dalle banchine labroniche 155.912 teu di contenitori vuoti: il 23,3% (contro il 21,1% registrato nel 2018). E La Spezia? I 72mila teu di vuoti del primo trimestre 2025 valgono un 26,2% delle movimentazioni complessive in materia di contenitori: dodici mesi prima erano al 26,0% ok, ma prima della pandemia, nel 2019, questo “termometro” indicava che dai container passati dallo scalo spezzino non più del 23,4% erano vuoti.

Beninteso, non è una regola fissa: anche perché il “lato B” di queste cifre è l’analisi delle strategie di ciascun operatore nel ridislocare i vuoti e come gestirli. Ad esempio, Genova non segue questa tendenza: proprio nella prima metà di quest’anno i vuoti (252mila teu) sono arrivati appena al di sopra della soglia del 20  per cento (20,8%) mentre tanto l’anno scorso che due anni fa, sempre nei primi sei mesi, i container vuoti avevano superato il 24%.

Mauro Zucchelli

Post scriptum: Correggo l’articolo pubblicato poche ore fa in cui avevo dato per buone le percentuali indicate da autorevoli testate internazionali e prestigiosi team di specialisti senza verificarle con scrupolo. Pur con tutto il rispetto per il lavoro altrui e senza alcuna intenzione di fare il maestrino, mi sembra di intuire che vi sia stato un quiproquo probabilmente in qualche passaggio redazionale e per questo motivo ho corretto l’articolo con il ricalcolo dalla percentuale. Magari mi sbaglio io, comunque mi scuso con i lettori per non aver prestato adeguata attenzione (m.z)

 

Pubblicato il
16 Settembre 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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