Assolombarda: i dazi di Trump ci costeranno il triplo di quanto previsto
«Tariffe, guerre, vertice anti-Occidente: cara Europa, devi svegliarti»

Alvise Biffi, presidente di Assolombarda
MILANO. Già se l’impatto dei dazi di Trump sull’Italia fosse davvero «fra 9 e 6,7 miliardi di euro, pari all’1,1% dell’export globale italiano» sarebbe una bella sberla: quasi la metà (o forse ben di più) dell’intero extra-deficit che è servito per mettere in moto l’intera manovra economica varata dal governo Meloni lo scorso anno. Ma per Confindustria queste stime sono più rosee d’un confetto per il compleanno del bebè: «La perdita potrebbe raggiungere i 23 miliardi». Da aggiungere che: 1) sul territorio milanese a questo «bisognerebbe sommare la flessione nel campo delle costruzioni (atteso un meno 1,5% per il 2025)»; 2) c’è «il rischio che i prodotti europei vengano sostituiti su mercati strategici».
La sirena d’allarme la suona Alvise Biffi, presidente di Assolombarda. È l’organizzazione confindustriale che ha organizzato a Milano, nella propria sede di Palazzo Gio Ponti, il “Forum della competitività”. Titolo: “Competitività e nuove sfide globali: Clean Industrial Deal, autonomia strategica e dazi”. Promosso in tandem con A2A chiamando a raccolta imprese e istituzioni in nome di «una riflessione unitaria e strategica sugli effetti dei profondi cambiamenti in atto sullo scenario globale».
Ci sono i dazi americani e quelle che gli organizzatori chiamano «crescenti tensioni geopolitiche» ma sono, da un lato, una guerra di aggressione (all’Ucraina) e, dall’altro, una mattanza di civili (a Gaza). C’è «la trasformazione dei modelli di globalizzazione» e c’è la transizione tanto ambientale che digital. C’è il «ritorno delle guerre commerciali voluto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump» e c’è lo scossone del recente vertice di Tianjin con i Paesi dell’”alleanza di Shangai” (con Cina, Russia, Kazakhstan e le altre repubbliche centroasiatiche “-stan” insieme a India, Iran e Turchia) che ha costruito un “polo” alternativo all’Occidente (una parte di essi sono anche nei “Brics+” che aggregano pure gli Emirati, l’Indonesia, il Brasile e il Sudafrica).
Ci si muove su un palcoscenico geopolitico «estremamente complesso»: e questo esigerebbe «risposte straordinarie», dice Alvise Biffi («l’accordo sui dazi con gli Stati Uniti ha ridotto l’incertezza, ma non le preoccupazioni»). Anche perché il combinato disposto del singolare modo di trattare del presidente Usa e il recente summit fra Xi, Putin e Modi «rappresentano cambiamenti epocali»: a giudizio di Biffi, «mettono in discussione la forza dell’Occidente e pongono l’Europa in una posizione di forte debolezza». Con una sottolineatura: «Se la competizione tecnologica è la nuova geopolitica, in questa partita l’Europa non sta giocando».

Joseph Stiglitz
Più tardi l’economista statunitense Joseph Stiglitz, premio Nobel nel 2001, ospite d’onore al forum, soffierà ancor di più sul fuoco di queste preoccupazioni degli industriali italiani: «Non credo che qualsiasi accordo con Trump valga la carta su cui è scritto». Citando l’esempio dell’intesa con Canada e Messico (stracciata), argomenta che «un accordo con Trump va considerato come una tregua temporanea, che verrà infranta quando gli farà comodo farlo». Il presidente degli Stati Uniti, secondo l’economista, non è un fan dello stato di diritto: «Semplicemente, crede nella legge della giungla e in tale contesto vince chi è più potente. E siccome lui pensa che gli Stati Uniti siano i più potenti…».
Il numero uno di Assolombarda non ci gira intorno: «L’unico modo per tornare in gioco è fare un piano europeo per investire subito grandi risorse in innovazione e soprattutto intelligenza artificiale, che è la tecnologia del prossimo secolo». Ma per farlo «serve un’Europa unita, con politica e imprese impegnate nella stessa direzione per salvaguardare la nostra competitività».
Roberto Tasca, presidente della multiutility A2A, sono indispensabili «alleanze trasversali tra pubblico e privato capaci di moltiplicare le opportunità per il settore industriale e guidare le transizioni». Nella fattispecie, vede in capo alle imprese «l’occasione e la responsabilità di governare i processi trasformativi che interessano i territori in cui operano». Un esempio concreto? I “data center”. «L’Italia – afferma – si colloca al 13° posto mondiale in questo settore, con Milano e la Lombardia che si posizionano tra le aree emergenti a livello europeo. Oggi oltre la metà delle richieste di connessione alla rete elettrica risulta concentrata in questa regione. Dai data center può arrivare un contributo alla decarbonizzazione dei centri urbani: recuperando il calore generato è possibile fornire energia termica a oltre 800mila famiglie grazie alle reti di teleriscaldamento».
L’intelligenza artificiale, si diceva: l’Istat – è stato detto – conferma che nell’ultimo anno l’adozione di questo tipo di soluzioni «è passata dal 5% al 8,2% delle imprese con almeno 10 addetti». Ma resta un bel divario rispetto alla media dell’Unione europea, attestata già oggi nelle piccole realtà aziendali al 13,5% (mentre nelle grandi imprese «una su tre usa già l’intelligenza artificiale».